venerdì 20 aprile 2018
Il Pil del Portogallo è cresciuto nel 2017 del 2,7%, l’occupazione del 3,2%, il debito pubblico è diminuito di più del 4%. Crescita con rigore: il successo politico dei socialisti.
Una veduta di Lisbona

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Il Pil del Portogallo è cresciuto nel 2017 del 2,7%, l’occupazione del 3,2%, il debito pubblico è diminuito di più del 4% e il deficit 2018 scenderà all’1,1% del Pil. È quindi del tutto ragionevole parlare di miracolo economico lusitano.

Questo è dovuto a una politica di rigoroso controllo della spesa pubblica, fatto che sembra in contrasto con la composizione della maggioranza, costituita da partiti di sinistra e di estrema sinistra.

In realtà, però, il quadro politico portoghese è piuttosto peculiare: il governo è un monocolore socialista (e il Psp è sempre stato uno dei partiti socialisti più avversi al comunismo) e le formazioni di estrema sinistra lo appoggiano solo perché sanno che altrimenti si torna ai governi di destra. Il leader del Partito comunista portoghese, Jeronimo de Sousa, per esempio, critica continuamente il governo di Antonio Costa, lamenta che si siano dati molti aiuti al sistema bancario mentre non si è risolto il problema delle pensioni, ma ancora domenica scorsa ha rifiutato la richiesta di una parte consistente della base del partito di abbandonare la coalizione.

Ora però la preoccupazione dei comunisti e degli antagonisti non riguarda la possibilità di una ripresa del centrodestra, che sta elaborando la sconfitta anche con difficoltà interne, ma l’intenzione, attribuita a Costa, di puntare a ottenere una maggioranza da solo alle prossime elezioni, il che gli permetterebbe di scaricare gli alleati. Nelle precedenti elezioni amministrative parziali i socialisti hanno ottenuto risultati lusinghieri, mentre le formazioni anticapitalistiche hanno segnato il passo.

Si comincia a parlare di una 'sindrome Mitterrand' con riferimento all’azione del defunto presidente francese, che dopo essere arrivato all’Eliseo con l’appoggio del Pcf, poi lo scaricò appena in grado di governare da solo. Il punto di attrito più rilevante nella coalizione resta l’economia: Costa ha rispettato le indicazioni della 'troika' (Ue, Bce e Fmi) e ha abolito alcune delle misure più pesanti, come la cancellazione della tredicesima per i dipendenti pubblici, solo dopo aver ottenuto il beneplacito europeo ed essere uscito dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo, ha ridotto la spesa pubblica e sostenuto il programma di risanamento o di cessione delle banche in crisi, invece di adottare una politica di incremento generalizzato della spesa sociale e assistenziale, come richiesto dai suoi alleati.

In sostanza ha proseguito il percorso di risanamento già intrapreso dal governo conservatore che lo aveva preceduto, e che già aveva indirizzato il Paese verso la ripresa economica e l’uscita dopo 4 anni dal programma di assistenza finanziaria da 78 miliardi. La spesa pubblica è stata ancora indirizzata soprattutto al risanamento delle infrastrutture e al sostegno alle ristrutturazioni edilizie, fatto che ha cambiato il volto di Lisbona, ma non ancora di altri centri anche importanti come Oporto.

Inoltre, ha proseguito nella politica di accoglienza dell’immigrazione 'pensionistica', che vede migliaia di pensionati europei, compresi molti italiani, trasferirsi in Portogallo dove per dieci anni possono godere di una totale esenzione fiscale. Edilizia, turismo e apporto ai consumi di questa particolare immigrazione 'fiscale' hanno contribuito fortemente alla crescita, mentre la domanda interna resta debole a causa dei bassi salari. Costa ha aumentato, per la verità, il salario minimo, portandolo a meno di 600 euro, il che fa capire quanto sia basso il livello retributivo medio nel Paese, di fatto una delle ragioni di fondo dell’aumento delle esportazioni e della ripresa economica in corso. Tuttavia questa misura ancora non riesce a dispiegare effetti sociali significativi, se non con l’aumento dell’occupazione, anche su questo terreno bisogna ricordare che il Portogallo ha per ora recuperato soltanto la metà dei 600mila posti di lavoro persi dopo la crisi del 2013.

Intanto si sviluppa un intenso dialogo tra il governo e l’opposizione moderata, che ha portato a siglare posizioni comuni sul decentramento e sull’uso dei fondi strutturali europei e probabilmente a un certo punto gli accordi saranno siglati in un incontro ufficiale tra Antonio Costa e Rui Rio, recentemente eletto leader del centrodestra (che si chiama curiosamente Psd, partito socialdemocratico, perché quando fu fondato comandavano i militari progressisti, che avevano imposto una 'scelta socialista' al Portogallo). Inoltre, presentando il documento di programmazione per l’anno prossimo, il ministro dell’economia Mario Centeno ha esplicitamente sfidato la sinistra, sostenendo che l’instabilità internazionale richiede una scelta di consolidamento e di rigido controllo della spesa, il che impedisce di ridurre la pressione fiscale sui salari e sulle imprese, che peraltro è al 34%, una della quote più basse dell’Unione europea, per effetto delle politiche adottate in passato dal centrodestra e che sono state confermate.

I modelli cui Costa sembra ispirarsi sono quelli di Mitterrand in politica e di Gerhard Schroeder in economia, due leader socialisti che hanno finito col rompere con l’estrema sinistra: però sembra riuscire, almeno per ora, a realizzare i suoi disegni non con una grande coalizione, come Schroeder, ma con l’appoggio parlamentare della stessa estrema sinistra. L’idea piuttosto diffusa di questi tempi che il Portogallo possa essere il modello per la ripresa della socialdemocrazia, e in particolare quella di una replica italiana dell’esperienza lusitana, cui ha alluso di recente L’Espresso, sembra non tener conto delle specificità portoghesi.

E non solo perché c’è poco di socialdemocratico nella ricetta del rilancio portoghese, come ha scritto anche l’Economist. In Portogallo resiste il sostanziale bipolarismo tra moderati e socialisti, l’alternanza tra queste formazioni resta la regola politica fondamentale, e l’inserimento della sinistra estrema nella maggioranza (ma non nel governo) è una variante determinata da un particolare esito elettorale, ma non modifica la sostanza del quadro politico. Basti pensare che mentre in Germania i due partiti della Grosse Koalition insieme superano di poco il 50%, e in Italia nel governo uscente sono assai inferiori alla maggioranza, in Portogallo i due partiti tradizionali non sono mai andati sotto il 70% dei suffragi. Inoltre, le formazioni antagonistiche hanno un consenso che è la metà di quello della sinistra tradizionale, mentre in Italia è il contrario.

Si può dire che un tentativo simile a quello risuscito a Costa fu tentato senza successo dal Pierluigi Bersani cinque anni fa, e ora potrebbe essere riproposto solo accettando un ruolo sostanzialmente subordinato. Resta il fatto che il Partito socialista portoghese è riuscito a dare una solida prospettiva alla socialdemocrazia, aspetto che rappresenta una specie di eccezione europea, dimostrando di poter gestire una politica europeista e atlantica anche se nella maggioranza ci sono formazioni che chiedono l’uscita dall’Unione europea, dalla Nato e dall’Euro. Il Psp è stato coerente con la sua impostazione originaria, costringendo gli alleati ad abbandonare di fatto la loro, e questo aggiunge un miracolo politico a quello economico. Ma i miracoli, com’è noto, non si replicano facilmente.

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