mercoledì 13 agosto 2014
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Le minacce più trascurate non sono i pericoli di cui si sa e si parla poco. Sono quelle che ben conosciamo, ma alle quali reagiamo solo quando sfiorano la nostra pelle dopo aver scavato quella degli altri. L’opinione pubblica internazionale – come ha sottolineato il vescovo Galantino, segretario generale della Cei – sembra essersi accorta dell’epidemia di Ebola quando questa ha cominciato a colpire anche i nonafricani. Pur vivendo in una 'società globalizzata' , espressione ammaliante e ormai logora che tradisce realtà amare e sconcertanti, lasciamo il lupo indisturbato a fare razzia nel pollaio del vicino finché non cerca di scavalcare la rete per entrare nel nostro. Se questo è vero per i flagelli della guerra, delle violenze, della povertà, della fame e dell’indigenza culturale, non lo è meno per la malattia. Così, una società e la sua cultura dominante che hanno fatto del benessere e della salute una priorità antropologica, civile e politica – confondendo il benessere con il bene e la salute con la salvezza – si scoprono impreparati di fronte ad alcune malattie che hanno guardato con indifferenza, distrattamente, solo perché epidemiologicamente prevalenti in terre lontane da noi. Dimenticando però che le frontiere sono state create dagli uomini: le malattie e i loro agenti patogeni le ignorano.  Da noi, le infezioni non sono la principale causa di morte. Lo erano un secolo fa: oggi il loro posto è stato preso dalle malattie cardiovascolari e dai tumori. A contrastare le grandi epidemie, che nei primi decenni del secolo scorso mietevano milioni di vittime in Europa e in America, sono valsi farmaci (antibiotici e antivirali), vaccini e terapie adiuvanti, messi a punto dalle scienze e tecnologie biomediche e diffusisi a partire dagli anni ’30 del Novecento. La scoperta di un trattamento sicuro, efficace ed efficiente può incidere sulla tutela della salute se disponibile mediante produzione e distribuzione su vasta scala del suo principio attivo. Un compito che solo le industrie farmaceutiche e biotecnologiche sono in grado di assolvere. Questo non sempre accade. Quando le aspettative del mercato di un farmaco o di un vaccino non sono attraenti per i capitali da investire – e come potrebbero esserlo nei Paesi più poveri, senza un consistente aiuto internazionale?  – le molecole e i sieri restano disponibili solo in fase sperimentale o, nel caso l’abbiano superata positivamente, per un numero limitato di soggetti.  La notizia che due cittadini americani, infettati mentre erano in Liberia, stanno rispondendo al trattamento con un cocktail di farmaci (MB-003 e ZMAb) ancora in fase sperimentale, ha suscitato nelle popolazioni colpite dall’epidemia reazioni contrastanti. Da una parte si è accesa la speranza che una terapia per la febbre emorragica da virus Ebola-Zaire esista davvero; dall’altra, cresce il sospetto che questa resti disponibile solo per cittadini dei Paesi ricchi i cui sistemi sanitari la possono garantire. Sulla sicurezza ed efficacia dei due farmaci, solo una sperimentazione clinica completa potrà dire se questa speranza diverrà una certezza. Per l’eventuale produzione e distribuzione di MB-003 e ZMAb in Africa, i sospetti sono alimentati da quanto già accade per l’Aids e le parassitosi tropicali – chiamate le 'malattie dei poveri': malaria, schistosomiasi, tripanosomiasi e altre – i cui rimedi più efficaci non sono ancora disponibili per tutte le popolazioni colpite. Quanto a un vaccino anti-Ebola, prodotto nel laboratorio della britannica GSK, sappiamo ancora troppo poco sullo stadio cui è giunta la sua sperimentazione. Di certo, occorreranno non poche risorse per produrne e somministrarne dosi sufficienti per un’efficiente profilassi sul posto. O ci si limiterà a immunizzare il personale sanitario e i viaggiatori provenienti dai Paesi occidentali?  Negli anni in cui la tubercolosi falcidiava l’Europa e il Nord America, e non vi erano terapie efficaci contro di essa, Bertold Brecht la denunciò pubblicamente come «una malattia selettiva per classe sociale», perché colpiva prevalentemente quanti dormivano in abitazioni umide e malsane, si nutrivano scarsamente e lavoravano in condizioni disumane. È un appello di ancora drammatica attualità, e chiama alla mobilitazione delle coscienze per una più equa allocazione delle risorse sanitarie sul nostro pianeta.
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