sabato 7 marzo 2020
Il coronavirus, il dibattito sull’aborto, un nodo che va sciolto
E senza difesa della vita manca visione di progresso
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Caro direttore,
il diritto alla tutela della salute, che coincide con la salvaguardia della vita, si è manifestato in tutta la sua evidenza in occasione della epidemia di nuovo coronavirus che sta investendo anche l’Italia. I cittadini hanno temuto per la vita. Questa è un bene grande, e se ne coglie il valore, quando è insidiata e ovviamente vorremmo poterla conservare e godere. Quando, invece, l’argomento è la vita dei deboli, dei malati inguaribili, che meritano lunghe, e magari costose cure, diventa oggetto di discussioni connotate pesantemente da ideologie e posizionamenti politici. Recentemente ha ripreso vigore una certa impostazione relativista per la depenalizzazione o legalizzazione del suicidio assistito e, a causa di un comizio mal riuscito, si è riattivata anche la polemica etnico-sanitaria sulla depenalizzazione dell’aborto. Uno svarione propagandistico ha, infatti, rilanciato la polemica attorno alla legge 194 del 1978, perché si è affermato che le interruzioni di gravidanza 'avvengono nei Pronto Soccorso'.

Ma la legge vigente, anche se non ci piace, protegge la salute della donna e gli interventi avvengono in strutture sanitarie idonee. Nel titolo stesso della legge 'Norme a tutela del valore sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza' si evince che c’è anche un bene da tutelare. Infatti gli articoli che riguardano i motivi che rendono legale l’interruzione volontaria della gravidanza sono preceduti da una serie di articoli, molto importanti, dedicati alle misure per evitare l’aborto, sempre dramma anche per le donne. Ma tra le cause che rendono non punibile la donna è contemplato «il suo stato di salute, o le sue condizioni economiche, o sociali o familiari». Si tratta di ostacoli che la Repubblica ha l’obbligo di rimuovere (art. 3 Cost.); invece lo Stato affida alla autodeterminazione della donna il peso di risolvere quelle condizioni di difficoltà.

Perciò – come ha sottolineato Antonella Mariani su queste pagine – allo slogan «giù le mani dalle donne» sarebbe più sociale e corretto, anche politicamente, anteporre «mani tese alle donne». Mi pare siano molti gli argomenti per chiedere, anche nelle piazze, di attuare positivamente e interamente una legge purtroppo confermata da un referendum molto partecipato. Il 67% dei votanti ha deciso a suo tempo di mantenerla.

Ed è troppo facile fare, oggi, comizi ambigui in cui si dice di non voler toccare l’autodeterminazione della donna e, al tempo stesso, si mettono sul banco degli imputati donne residenti in Italia di origine straniera. Confrontiamoci invece con sincerità: qual è stata la parte della 194 più dibattuta e applicata? Le leggi presuppongono un riferimento culturale, rispondono a esigenze sociali: i due referendum – quello sul divorzio e quello per il mantenimento della legge 194 – hanno rappresentato una svolta, il primo cambio d’epoca. Il nostro Paese, catalogato 'cattolico', fece registrare una distanza mai precedentemente verificata sul grado di adesione a un patrimonio tradizionale di valori. E si riuscì, allora, a mandare in minoranza la Dc, il partito accreditato come il più coerente difensore di quello stesso patrimonio. Siamo ancora a un tornante epocale.

Gli argomenti che riguardano la tutela della salute e della vita sono all’ordine del giorno della scienza e della politica; si affacciano con una crescente urgenza, dalla denatalità alla maternità surrogata, dalle vite fragili nascenti a quelle da accompagnare alla naturale conclusione. Scienziati e tecnici possono allestire risposte, ma come porre le domande e quale risultato ottenere è compito delle classi dirigenti e di cittadini consapevoli e informati. Grande è la responsabilità di chi informa e di chi deve ricercare le informazioni. Papa Francesco ci ha ricordato che una notizia vera a metà è già una menzogna. L’imperativo dunque è andare alla fonte. Si è incaricato il coronavirus di segnalarci di nuovo e con forza come la tutela della salute sia un diritto individuale e, insieme, un interesse collettivo, come dice l’art. 32 della Costituzione.

Ma ha anche reso evidente quanto siamo interdipendenti e quanto scienza e ricerca appartengano alla umanità tutta, senza confini. Quando subentrano paure si cercano più affannosamente rimedi, ma la vita chiede di essere difesa con costanza e coerenza. Se la si riduce a oggetto di contesa politica e viene meno il limpido impegno nel difenderla, sempre e comunque, si rischiano pericolosi pendii scivolosi. Di questo le forze che si dichiarano e vogliono essere progressiste devono rendersi conto e conto devono saperne tenere.

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