martedì 21 febbraio 2012
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Chi ha sparato in mare aperto, lungo una rotta infestata dai pirati, dove ogni imbarcazione agile che si avvicini a un grande mercantile può costituire una grave minaccia? Perché le autorità indiane sembrano non voler procedere secondo regole giudiziarie normali e consolidate in ogni Stato di diritto, qual è il grande Paese-subcontinente? Quanta leggerezza nell’aprire il fuoco e quanto nazionalismo utile per le elezioni in corso in Kerala? Il doloroso e intricato caso internazionale che è scoppiato tra Italia e India non sembra destinato a una soluzione rapida e senza strascichi. Ajesh Binki, 25 anni, e il suo compagno di lavoro Jalastein, 45, sostegni delle rispettive, povere famiglie di pescatori cattolici, giacciono senza vita, colpiti mentre lavoravano insieme a nove compagni. Due nostri esperti fucilieri, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in missione di scorta a una nostra petroliera, si trovano in stato di arresto con l’accusa di omicidio. Non rischiano la pena capitale, ma il clima di ostilità che li circonda non depone a favore di una valutazione equilibrata della vicenda.L’auspicio della chiarezza, di un’indagine rigorosa e serena, senza omissioni né strumentalizzazioni, è doveroso e vale per entrambe le parti. L’armatore italiano, le nostre Forze armate e la diplomazia sono chiamati a cercare per la propria parte di mettere a disposizione tutti i dati e a collaborare apertamente con le autorità indiane. L’operazione di "polizia" è autorizzata e legittima, dopo tanti sequestri che hanno fatto trepidare per mesi decine di famiglie e sono costati milioni di euro ai proprietari delle navi.Ugualmente, tutto ciò non autorizza a eventuali violazioni delle regole di ingaggio sulla pelle di innocenti pescatori. Non abbiamo per ora motivo di dubitare della versione fornita dai due militari incriminati, ma nemmeno possiamo ritenere del tutto inventata la ricostruzione proposta dagli inquirenti locali.A questo proposito, può essere utile ricordare che i cattolici non costituiscono certo un gruppo "forte" nella complessa e ancora squilibrata società indiana, sebbene nel Kerala sia meno forte l’estremismo indù che ha seminato terrore e morte nello Stato dell’Orissa. Pare quindi improbabile l’esistenza di una mobilitazione nazionalistica totalmente studiata a tavolino che agiti come vittime dell’Occidente "imperialista" i cattolici che, spesso, sono bersagli proprio per il fatto di essere alternativi alle logiche culturali e politiche dominanti, come quelle delle caste e delle tradizioni di privilegio. Nessuna impunità, dunque. Né improvvisati capri espiatori per soddisfare la piazza, dovunque affamata di colpevoli facili. Ammesso che non si sia trattato di un crimine di matrice interna, addirittura di un "delitto d’odio" anti-cristiano, coperto con una comoda accusa agli stranieri. Se, invece, fossimo di fronte a un tragico errore dei nostri soldati, di proiettili esplosi dopo la mancata risposta alle prime segnalazioni, resterebbe da accertare se la sparatoria è avvenuta in acque territoriali indiane e quale sia la giurisdizione competente.L’Italia, comprensibilmente, deve tenere il punto anche per la coalizione internazionale che cerca di impedire che un’immensa area marina diventi campo libero per i predoni, inaccettabile sconfitta della legalità internazionale. Come i poliziotti pattugliano le strade e cercano di difendere i cittadini senza diventare disinvolti giustizieri, così deve accadere nel golfo di Aden e nell’Oceano Indiano. Se e quando un agente sbaglia, sia per imperizia sia per dolo, va sanzionato, ma non si può demonizzare la polizia. Tanto meno in via preventiva. Ci vuole giustizia per Binki e Jalastein e umana riparazione per le loro poverissime famiglie, ma non una giustizia affrettata e, magari, "ingiusta".
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