domenica 4 novembre 2012
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Gentile direttore,
dopo aver assistito, qualche sera fa in questa mia cittadina, a un incontro con don Andrea Gallo, parafrasando il titolo del libro "Se questo è un uomo" di Primo Levi, mi viene da chiedermi "se questo è un prete…". Le sue uscite provocatorie verso la Chiesa, il ripetuto dileggio del Santo Padre e di alcuni cardinali chiamati per nome e cognome, le espressioni volgari con le quali spesso infarciva il suo show (non trovo altro modo di definire l’esibizione), la minimizzazione di atteggiamenti a dir poco sconvenienti e derubricati a suo dire da peccato mortale a piccole marachelle morali di cui non preoccuparsi neppure nella confessione, persino il sostegno a tesi degli abortisti e tanto altro ancora, mi hanno lasciato stupefatto e addolorato. Ad ascoltarlo c’erano anche molti giovani. Ma come faranno mai i genitori veramente cristiani a rendersi credibili e autorevoli quando volessero riprendere un figlio che – prima verbalmente e poi, magari, in pratica – dovesse imitare certi linguaggi e atteggiamenti? Pur avendo io passato la sessantina, non si tratta di essere conservatori o addirittura bigotti! Credo che debba essere messo un limite a certe fuorvianti esibizioni con prese di posizione che non fanno altro se non creare confusione nei cattolici o peggio ancora fornire loro falsi alibi per giustificare scelte morali di comodo. Tutte queste discutibili uscite sono state, infatti, abilmente frammischiate ad affermazioni di principio esatte e condivisibili, assieme a simpatiche battute e a barzellette innocenti. Quando ho deciso di presenziare a questo incontro – organizzato da una cooperativa sociale – sapevo quanto fosse chiacchierato don Gallo e mi aspettavo di ascoltare anche qualcosa di discutibile, ma mai avrei immaginato quel che mi aspettava... Concludo con la tristezza di avere visto, quella sera, parecchi fratelli cristiani che incontro la domenica a Messa o all’oratorio, ridere di gusto spellandosi le mani con scroscianti applausi anche all’udire le espressioni più becere.
Giuseppe Moretti, Cassina de’ Pecchi (Mi)
 
Gentile direttore,
le chiedo come sia possibile che un prete commemori a Predappio il criminale Benito Mussolini e l’anniversario della marcia su Roma. Le chiedo altresì se il vescovo diocesano di Forlì abbia o meno autorizzato l’odiosa manifestazione che si è svolta in tutta evidenza davanti a una chiesa con relativa processione e posa di una grande croce di legno. Chiedo infine che cosa ne pensa del fatto che un prete possa liberamente fare apologia del fascismo, commemorare un assassino, pronunciare parole xenofobe e razziste ai piedi del simbolo cristiano.
Marco Cattaruzza, La Spezia
 
La Chiesa cattolica non è una caserma di miliziani e neanche, cari amici, il posto giusto per razzisti, sboccati, confusionari e piacioni… Tutte brutte parole, tutti pessimi concetti. Ma non per questo tutti uguali. Se infatti ogni "bestemmia" è grave, ci sono errori (e drammi) che pesano oggettivamente più degli altri tanto su chi li compie e li diffonde quanto su chi ne subisce le conseguenze. Pesantissimi sono quelli contro la verità di Dio e della vita: di ogni vita umana, ma soprattutto della vita dei bambini non ancora nati, delle persone che ci appaiono 'diverse' o, ancora, che sono costrette a farsi "straniere" sulle vie del mondo (casa che, per noi cristiani, il Padre ha dato a tutti gli uomini e a tutte le donne, senza distinzioni). I sacerdoti che mi hanno educato alla fede e messo dentro al cuore la voglia di vivere una vita cristiana, mi hanno anche insegnato – con l’esempio – che la carità che un credente e, tanto più, un prete usano verso tutti non dovrebbe mai tradursi in smemoratezza del bene e in complicità con il male. Tanto meno per amor di battuta e di applauso. Eppure so, e continuo a imparare, che persino tra i sacerdoti può capitare che qualcuno mostri con il linguaggio e con i gesti una visione della vita 'militante', e non esattamente per il Regno... Non mi sento di rispondere in altro modo alle domande difficili – assai differenti eppure, infine, simili – che proponete. Del resto, proprio come voi, cari e indignati amici, ho occhi per vedere e testa per ragionare. Posso, perciò, constatare che un corteo politico non è una processione religiosa anche se un prete vi partecipa e alza indecentemente mano e voce e che la porta della chiesa di Predappio – quel giorno di raduno mussoliniano – non è stata tenuta ben chiusa per caso. E devo anche annotare, sulla base di quel che mi racconta, caro signor Moretti, che dalla bocca di un prete che fa del bene ma che parla molto politico e, stonando moltissimo, prende più o meno sempre lo stesso partito poteva probabilmente uscire – quella sera a Cassina de’ Pecchi – qualcosa che facesse sganasciare di meno e fosse davvero controcorrente rispetto alle logiche e agli slogan del politicamente corretto pseudo-progressista. Prendete anche le mie parole per quel che sono, cioè – visto che non ero né a Predappio né a Cassina de’ Pecchi – valutazioni di un cronista che si basa su informazioni raccolte e su un po’ di esperienza. Le metto nero su bianco perché non mi piace tirarmi indietro, quando mi si propongono problemi reali. E perché so bene che, purtroppo, né un lettore s’è inventato certi toni e certi svarioni di don Gallo né l’altro s’è immaginato la desolante arringa del prete 'col fez'. Infine, però, cari amici, tengo a condividere con voi soprattutto una riflessione: i due uomini di cui parlate, di cui parliamo, sono persone che hanno sentito – un giorno – una chiamata specialissima. E sono diventati uomini di Dio. Cioè mai più uomini di una parte sola. Come scriveva Giovanni XXIII nella "Sacerdotii nostri primordia" – era il 1959, suo primo anno di pontificato e centenario della morte del Santo Curato d’Ars – il sacerdote cattolico innamorato di Cristo e della sua Chiesa «non si appartiene, come non appartiene a parenti, amici, neppure a una determinata patria». Persino oltre i loro meriti e demeriti, comunque si atteggino, i nostri preti sono in eterno prescelti a farsi «tutto in tutti», seguendo Gesù. Piuttosto che arrabbiarci allora, preghiamo perché siano santi e siano strumento di unità, perché siano sempre fedeli alla bellissima ed esigente vocazione che hanno ricevuto e alla quale hanno risposto. E con delicatezza e rispetto, per quanto possiamo, aiutiamoli a viverla: anche parlando con loro, anche quando parliamo di loro.
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