«Draghi può aiutare i partiti a rigenerarsi». Sì, se il "bene" prevale sul "meglio"
giovedì 18 novembre 2021

Gentile direttore,
resto sempre sorpreso da come in Italia si continui a fare campagna elettorale come se ci fosse ancora il maggioritario. I segretari dei vari partiti appaiono in occasione delle politiche in grandi manifesti con le scritte “Tizio o Caio Presidente”. Potreste spiegare ai cittadini che con il proporzionale per l’elezione del Parlamento non funziona più così? Solo con un’opera di verità da parte del mondo dell’informazione i partiti potrebbero smettere di prendere in giro elettori drogati da più di un quarto di secolo di bipolarismo da stadio. E a quel punto, magari, gli stessi partiti potrebbero ragionare sull’occasione unica che abbiamo davanti: un uomo che è l’unica vera garanzia della credibilità del Paese in questo momento, più dell’oro della Banca d’Italia che ha a suo tempo governato. Non è giovane Draghi. Ma ha la statura politica di un De Gasperi. E in un’era di ricostruzione ci serve proprio un uomo così. Non possiamo permetterci che le elezioni del 2023 costituiscano l’occasione per tornare alla piccola politica dell’Italia ante-Covid. Si badi bene: la mia non è ammirazione incondizionata. Non credo neanche di avere le stesse idee politiche di Draghi. Ma ritengo che molti non si rendano conto dell’importanza della fiducia per poter continuare ad essere “signori a casa propria”, usando un’espressione cara ai populisti. Mi piacerebbe molto vedere i moderati cominciare a discutere di un modo per dare continuità a questo governo. Lodiamo tutti Angela Merkel, ma quanti sanno che ha governato sostenuta da coalizioni che erano diverse dopo ogni elezione? Io credo che qualche anno di buon governo potrebbe aiutare l’emergere di leader di maggior spessore, fino a oggi schiacciati dalla politica dello scontro elettorale radicale e permanente. Che ne pensa?

Filippo Molinari Roma

Penso, gentile signor Molinari, che il “bene” possibile e necessario, viene spesso insidiato e travolto dal “meglio” presunto per i capipartito di turno. Una regola vecchia come la politica politicante o, se vuole, come la «politichetta», ma diventata ferrea negli anni del bipolarismo all’italiana, quello che lei definisce «da stadio», che io ho chiamato «furioso» e che oggi si dimostra radicalizzato e radicalmente insufficiente a garantire il governo del Paese. Per due motivi. Un motivo strutturale (che anche lei accenna): le leggi elettorali per Regioni e Comuni sono d’impronta maggioritaria, quella per il Parlamento nazionale ha una netta impronta proporzionale e porta quasi inesorabilmente all’alleanza tra distinti e (troppo) distanti. E un motivo, diciamo così, geo-politico: centrosinistra e centrodestra hanno perso il baricentro e i rispettivi spezzoni di centro continuano a sfarinarsi e a contare più per il gioco parlamentare che per il contributo ideale e programmatico. Avviene un po’ di più nel centrodestra trasformatosi in un destracentro (come la competizione per la primazìa tra Salvini e Meloni sottolinea), ma anche nel centrosinistra non si scherza affatto (come dimostra il disagio valoriale e il non-voto di non pochi elettori d’area). Mario Draghi sta servendo il Paese e l’Europa unita, scena sulla quale si muove da protagonista, e potrebbe dare tempo alla nostra politica di ridare equilibrio a se stessa e al sistema complessivo. Lo auspico anch’io, come lei, ma non ci scommetterei. E purtroppo non soltanto perché non mi piace l’azzardo... Spero di essere sorpreso in positivo. Lo spero fortemente.

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