giovedì 18 giugno 2009
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Le carceri scoppiano. Alla vigilia del-­l’estate, quando le prime vampate annunciano la tortura del caldo dietro le sbarre che chiudono la carne am­massata dei reclusi, torna l’allarme. Scoppiano di nuovo, 63mila detenuti stipati dentro 43mila posti, e le prote­ste serpeggiano (ogni giorno tre o quat­tro segnali di rabbia e dolore, tra scio­peri collettivi della fame e inferriate percosse). Monta un’onda che scala i gradini della disperazione fino alla so­glia della potenziale rivolta; gli agenti di custodia sono in agitazione, e l’an­nuale festa della polizia penitenziaria appena celebrata diventa il rendicon­to di un’emergenza nazionale. Le carceri scoppiano e il fatto che l’al­larme si ripeta periodicamente, quasi sempre uguale nonostante le iniziati­ve escogitate di volta in volta a rime­dio ( ricordate quanto discorrere pole­mico fu fatto per l’indulto di tre anni fa, e com’è più cocente ora il ritorno della marea a sommergere la spiaggia delle speranze di allora), vuol dire che il problema va affrontato in modo strutturale, e non congiunturale. Se il fabbisogno è stabilmente di 63mila, fra posti di pena e posti di custodia cau­telare, devono essere 63mila, e quelli che mancano vanno allestiti. Ma non solo nel 2012 o più in là, come dice il ministro Alfano; il bisogno è di oggi, e il tempo che scorre in sofferenza si chiama soltanto ' ritardo'. Si chiama anche sventura, e si chiama soprattutto insipienza. A quei ragio­natori tutti d’un pezzo che invocano con spiccia saggezza ' la certezza del­la pena', dico ora di leggere cos’è la pena per il diritto, e poi di essere coe­renti. La Costituzione dice di tratta­menti che tendono all’emenda del reo. Cioè: se una pena non produce l’e­menda è una pena fallita. Se una pena produce il rinforzo di una carriera cri­minale appresa in carcere, è una cosa demenziale da rivedere daccapo. Se at­tinge l’emenda realizza la sua ' certez­za della pena'. Basta dunque con le trappole delle al­terne accuse fra Buonismo e Rigore. Realismo dice che la certezza della pe­na ( la sua riuscita, la sua utilità) è il pronostico dell’emenda, e dopo de­corso il tempo dell’espiazione è il ren­diconto dei traguardi raggiunti. Ora dunque, nell’emergenza estiva di una caienna annunciata noi ci chiediamo: quale traguardo speriamo di raggiun­gere finché la situazione di disperato disagio non muta radicalmente, quan­do già partono da noi ( vedi in Sicilia domani) gli esposti al Comitato Euro­peo per la prevenzione della tortura? Io non penso che debba mutare il si­stema giuridico penitenziario. Ma le strutture sì, queste devono mutare. Il sistema giuridico penitenziario, dal 1975 in poi, è stato per noi speranza e scommessa. La scommessa l’abbiamo perduta, governo dietro governo, ma la speranza no. A rinfocolare la spe­ranza e a rinnovare qualche scom­messa realistica, le strutture devono o­ra corrispondervi, altrimenti la spe­ranza sarà solo memoria di un fiore ap­passito. Vent’anni fa sentivo parlare di carceri prefabbricate, di una deten­zione ' leggera' ( dedicata in specie ai tossicodipendenti) a metà fra pena e cura. Oggi, oltre che all’uso più assen­nato della custodia in carcere in pre­venzione, io penso a programmi inte­rattivi fra il mondo chiuso delle sbar­re e la comunità esterna. Penso alla preferenza per le pene alternative sor­vegliate e monitorate, ogni volta che è possibile, e ciò non per pietismo ma per realismo, e persino per economia di soldi. Sempre che ai soldi rispar­miabili provveda un governo sapiente, e al fabbisogno umano non rispar­miabile si presti anche, invece che la sola sferza, la solidarietà penitente di chi ama. La vendetta, infatti, resta la scorciatoia di tutte le sconfitte. Per vincere c’è bi­sogno d’amore.
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