giovedì 27 agosto 2009
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Potere della scienza e della tecnica, desiderio di un figlio da far nascere come e quando decide una madre che lavora, e leggi sulla fecondazione artificiale adeguatamente «avanzate», liberali e libertarie, non certo «medievali» e «talebane» come la legge 40 italiana che andrebbe rifatta secondo quanto esige il «progresso». Discorsi non nuovi, di cui non cessano di esser piene le nostre laiche cronache. Nuovo, invece, o almeno inaspettato, è il modo in cui li affrontava Giovanna Zucconi, in un suo laico editoriale comparso domenica scorsa.Si soffermava sulla vicenda di Céline Dion, la famosa cantante canadese, una delle più incantevoli voci che sia dato di sentire oggi al mondo. Céline, giunta a 41 anni, ha annunciato con largo anticipo, che attende per maggio 2010 il secondo figlio, concepito contemporaneamente col suo primo bambino, René Charles, che però oggi ha già otto anni. Dieci anni fa, al marito e suo impresario, René Angélil – oggi 67enne –, cui era stato diagnosticato un tumore, fu prelevato il seme prima della chemioterapia. Con quello furono fecondati due embrioni: uno fatto nascere subito (si tratta di René Charles) e uno (rimasto in congelatore per tutto questo tempo a New York) che, se la gravidanza appena iniziata andrà a buon fine, come tutti ci auguriamo, nascerà il prossimo maggio quando il suo fratello "gemello" andrà verso i nove anni di vita. Prima di questo, Céline aveva altri impegni: per esempio completare una tournée intorno al mondo da 273 milioni di dollari. Doveva, insomma, conciliare esigenze di lavoro e carriera col suo desiderio di maternità.Tuttavia, ricordano le cronache, Céline, fin dalla nascita di René Charles, aveva annunciato ai mass media che «esisteva un gemello da laboratorio». E aveva sottolineato: «Non so se è buono (sic!) per sempre, ma credo che si conservi. Andrò a prendermelo, poco ma sicuro». «Che tono da film western», scappa detto a Giovanna Zucconi nel commentare le intrepide dichiarazioni di mamma Céline. La quale sta parlando di un figlio, e un figlio desiderato, anche se le parole che usa non sono diverse da quelle che si potrebbero usare, che so, per un uovo dimenticato in frigorifero, per uno yogurt di cui non si è certi della data di scadenza, per un prodotto cosmetico e simili. Insomma, per una cosa, non per una persona.Fin qui i fatti. Sui quali Zucconi, pur colpita dalle disinvolte dichiarazioni di Céline, invita a non esprimere giudizi affrettati. E ricorda che la cantante (ultima di 14 figli) prima di diventare ricca e famosa era poverissima, che il successo ha diritto a mantenerlo, che il marito è stato ammalato, eccetera. Vai a sapere se si tratta di un caso di «capriccio divistico, di oltranza medico-tecnologica, di superomismo», o se invece è solo una madre in carriera che però i figli li ama e li vuole. E fin qui si potrebbe anche esser d’accordo, almeno in parte.A Céline e a tutte le altre (e a chi si batte per queste leggi «più avanzate» da portare anche in Italia) Zucconi fa una preghiera: che questo modo di pensare, di fare, di parlare «non diventi un’abitudine». Ottimo auspicio, ma del tutto improponibile: perché mai, se la legge lo permette e una Céline Dion se ne avvale, in base a quale criterio, morale o altro, si potrebbe vietarlo ad altre cento, mille, centomila donne che facessero (e fanno già in Paesi «avanzati») lo stesso?Zucconi ha anche un pensiero per il piccolo René Charles: saprà già come è nato? Chi gli spiegherà che è nato in provetta, e «magari da un programma di gossip»? E come si riuscirà a fargli capire che sta per nascergli un fratello che ha la «sua età ma anche no»? Domande quanto mai pertinenti, quanto mai umanamente attente ai diritti e alla sensibilità di chi, in quelle famosissime leggi «avanzate», non ha nessuna voce in capitolo: i non nati, i bambini, quelli che non votano, che non possono parlare. Quelli che si possono fabbricare, introdurre in utero o buttare, tenere in congelatore, scongelare, far nascere secondo i tempi, i modi, le esigenze di lavoro e di carriera di altri. Che poi, a un certo punto, si scopre che si chiamano «mamma e papà». Certo: ma quando li senti parlare, chi lo direbbe?
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