Dibattito su caso Cospito e 41bis: parola a chi sperimenta il carcere
mercoledì 22 febbraio 2023

Gentile direttore,
Abbiamo notato la mancanza di consapevolezza su ciò che le persone sanno del 41bis, e ancor più del poco che si sa riguardo la sua “ostatività”. Ci ha colpito quanto venga addirittura distorta dai media la sostanza stessa di questo provvedimento. Alcuni di noi, che hanno vissuto in un regime di “carcere duro”, hanno provato sentimenti equivalenti al morire: questo tipo di detenzione toglie la dignità all’uomo che è leso nel suo stesso essere. Di pena, e per la pena, si muore. Si rischia di fare del 41bis un’azione di vendetta dello Stato che così non è più uno Stato di diritto che amministra giustizia. Se così è, il pensiero corre a quella definizione che dice che il livello di civiltà di una società lo si coglie dalla condizione delle sue prigioni... Abbiamo l’impressione che uno Stato che “si vendica” è debole. Qualcuno di noi ha citato la frase del giudice Pennisi secondo cui il 41bis è come una foglia di fico che lo Stato si mette per coprire la vergogna di una giustizia inadeguata. Ci sono stati da parte nostra pensieri non concordi sulla situazione particolare di Cospito, che alcuni di noi hanno conosciuto. È sincera la sua protesta? Lo fa solo per sé o per tutti? Perché altri non fanno propria la stessa protesta? Crediamo che la sua battaglia vada sostenuta e rispettata come ogni scelta nella quale una persona ci mette del suo, naturalmente secondo i criteri della convivenza pacifica. Pensiamo infatti che le proteste degli anarchici danneggino Cospito, proprio in ordine al nostro rifiuto di ogni violenza. Non si può da parte di nessuno venir meno al rispetto della Costituzione che rimane il riferimento oggettivo per la nostra convivenza. Infine, per quanto ci riguarda, crediamo nella possibilità che ognuno, a partire dalla propria storia, possa cambiare, perché ogni storia è soggettiva. Qualcuno di noi in regime di 41bis ha “ritrovato la libertà”. Questo può avvenire, innanzitutto, prendendo le distanze dal mondo che lo ha coinvolto e lo ha visto protagonista nel male. Quindi il coraggio di rompere i rapporti con le persone che di quel mondo fanno parte. Per quello che viviamo, possiamo testimoniare che, facendolo insieme, si può. Crediamo anche noi nella necessità che il regime di detenzione a cui Cospito è sottoposto vada tolto perché innanzi tutto è una sconfitta per chi lo applica; nello stesso tempo non si può togliere la speranza che nasce dalla consapevolezza del proprio reato, ma soprattutto dalla condizione di “vittima” che abbiamo fatto vivere alle persone e alle famiglie che abbiamo leso anche in modo molte volte irrimediabile. Sta davanti a noi una Parola pronunciata da Colui che continua a credere in noi per renderci “puri di cuore”. La Parola che vale per ciascuno di noi e per tutti quelli che gravitano nel mondo della giustizia è “conversione”. Nel nostro ambito particolare poi assume la fisionomia della mediazione penale, ma qui inizia un altro nuovo cammino. Grazie per la sua e vostra attenzione.

I carcerati della Casa di reclusione di Reggio Emilia Non aggiungo nulla alla vostra riflessione, gentili e cari lettori e amici, se non un semplice grazie per averla condivisa con noi. Sono molto contento di poterla pubblicare nel dibattito sul modo in cui in Italia viene applicato lo specialmente severo regime carcerario previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario. È un buon modo per dar voce – come pacatamente e giustamente rivendicate – anche a «coloro che vivono una situazione di detenzione»

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI