sabato 8 novembre 2008
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Le riforme, come le proteste che inevitabilmente le accompagnano, sono una cosa seria. E " proprio per questo " dovrebbero indurre tutti a porsi domande altrettanto serie e a cercare risposte non di maniera. Riforme e proteste che scuotono il mondo della scuola e dell'università, in quest'autunno di grande fermento e di febbrile scontento, hanno certamente tale impegnativo carattere di serietà. Ma al tempo stesso appartengono, per più di un verso, anche a un'altra categoria: quella degli eventi che ti spiazzano per il modo in cui si producono, si propongono e si concatenano. Le controverse innovazioni " premessa, forse, di più ampie e calibrate riforme " avanzate dal ministro Mariastella Gelmini e certe veementi opposizioni tra insegnanti e studenti sembrano, infatti, svilupparsi ancora oggi su due piani distinti e sostanzialmente non comunicanti. Quasi che azioni e reazioni siano destinate a scattare, comunque e sempre, in modo indipendente le une dalle altre (qualunque cosa si obietti, noi decidiamo; qualsiasi cosa facciate, noi protestiamo...). Quasi che non si fossero realizzati fatti nuovi e, positivamente, degni di nota. Nelle ultime ore, invece, come anche noi speravamo, il governo ha rimesso a punto la sua azione. È vero che resta soltanto annunciato il ripensamento dell'assurda " e autolesionista per l'erario " penalizzazione delle scuole paritarie (e delle libere università), ma intanto un paio di colpi importanti sono stati battuti. E su tasti non facili, come quelli della sorte delle sedi scolastiche più piccole e della formazione universitaria. Nessun taglio per gli anni a venire è stato cancellato, tuttavia la rigorosa rimodulazione della spesa per scuola e università è stata posta in una prospettiva di ragionevolezza e di dialogo. Si è rinunciato, così, a ingaggiare qui e ora uno sterile braccio di ferro sul piano istituzionale (e fors'anche costituzionale) con le Regioni sulla chiusura di talune scuole in realtà minori. E sono state offerte agli atenei regole più trasparenti e più saggiamente meritocratiche (per i concorsi a cattedra, per la ricerca, nella distribuzione dei fondi di funzionamento), ma anche una dote ulteriore di soldi (per borse di studio e residenze studentesche) e, infine, un'ampia disponibilità al confronto su un'interessante bozza di "linee guida". Una mossa che, non a caso, la Conferenza dei rettori universitari ha salutato subito con «forte e pieno apprezzamento», giudicandola un segnale «importante» e l'avvio «costruttivo» di un nuovo percorso. Ed è un fatto che nelle stesse file dell'opposizione parlamentare democratica e dipietrista il cambio di passo e di metodo è stato colto e valorizzato. Magari con toni agrodolci, e ovviamente col piglio di chi non intende fare sconti al governo. All'opportuna iniziativa assunta dal ministro Gelmini hanno, però, fatto da contraltare ieri anche dichiarazioni bellicose e manifestazioni, purtroppo, non del tutto pacifiche promosse in varie città d'Italia da settori della galassia studentesca con l'appoggio neppure tanto mascherato di forze della sinistra più estrema (e oggi extraparlamentare). Il partito dello scontro, insomma, per ora resta in armi anche se sul fronte governativo non sta trovando più sponde. E la molla della mobilitazione sembra agire persino a prescindere dai fatti del giorno, come per inerzia polemica. C'è solo da augurarsi che si tratti solo di una giovanile e baldanzosa mancanza di sincronia. E che la volontà di riforma e di confronto si consolidi, fino a diventare contagiosa.
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