martedì 11 settembre 2012
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Caro direttore, grazie ad Avvenire per aver voluto riprendere coraggiosamente il dibattito sulla legge più discussa della XVI legislatura: quella sulle Dat. Effettivamente se di "bella addormentata" si vuol parlare, questa è proprio la legge che qualcuno continua a definire sul testamento biologico. A sei mesi dalla fine della legislatura – il suo termine naturale! – vale la pena interrogarsi su alcuni temi che hanno lungamente caratterizzato il dibattito parlamentare con toni spesso accesi, ma con un dialogo intenso e appassionato con l’opinione pubblica. Un dibattito che nelle ultime settimane è stato rilanciato da due fatti molto diversi tra loro, che però ci ricordano come non sia giusto lasciare domande in sospeso oppure offrire risposte solo parziali. Mi riferisco al "no" deciso a ogni forma di accanimento terapeutico, come lo ha pronunciato il cardinal Martini, e al "sì" all’eutanasia come emerge dal film di Bellocchio. La politica non può ignorare un dibattito che si riaccende con facilità davanti a circostanze tanto diverse e non può ritardare ulteriormente le sue risposte, dopo quattro anni di confronti anche aspri, ma costruttivi e propositivi. La gente merita risposte chiare e definitive sul piano legislativo. Non darle apparirebbe come una fuga dalle responsabilità. Un segno ulteriore della fragilità del dibattito parlamentare: ci si lamenta quando si è costretti a votare sotto la pressione della "fiducia" (qualunque sia il Governo che la chiede), ma si è incapaci di raggiungere conclusioni autonome attraverso il lavoro ordinario...  Abbiamo il dovere di concludere quel dibattito parlamentare per dire al Paese che non abbiamo scherzato. C’era in tutti noi la convinta consapevolezza che stavamo trattando un tema importante, perché stavamo difendendo un diritto essenziale. Stavamo trovando il punto di equilibrio tra il diritto alla vita e il diritto alla libertà; stavamo cercando di definire il senso profondo di quel principio di autodeterminazione che è alla base della nostra responsabilità personale e sociale e di tante vertigini del nostro tempo. Poi all’improvviso sono calate le tenebre, il silenzio, e il ddl una volta tornato al Senato è stato chiuso in un cassetto in attesa di tempi migliori lasciando il campo a forzature tentate qua e là, a livello di enti locali, lungo la Penisola... La morte del cardinal Martini, strumentalizzata da interpretazioni ambigue e ben poco condivisibili, ha riassunto nella sua limpida linearità il modo in cui ognuno di noi vorrebbe morire; il modo che la legge riprende e sottolinea. Al termine naturale della vita ogni intervento che non tenda a ridurre le inevitabili sofferenze che accompagnano il morire è improprio e può configurare quell’accanimento terapeutico a cui la legge sulle Dat dice un "no" chiaro. L’alimentazione forzata rifiutata da Martini, paziente terminale, è totalmente in linea con lo spirito della legge, e nello stesso tempo testimonia ciò che è prassi consolidata in tutti gli ospedali italiani. Il film di Bellocchio non aiuta a fare chiarezza sul problema dell’eutanasia, e sul caso Englaro fornisce informazioni parziali che distorcono la verità dei fatti. E così fa con il mondo politico: tutti malati, incapaci di agire in coscienza, asserviti a una disciplina di partito che impedisce di cercare il senso delle proprie scelte e di assumersene le responsabilità. Forse questo è uno degli elementi più distorsivi del film, che fornisce più o meno volutamente un assist all’antipolitica. Non è così, non siamo così: anche quando le idee tra di noi sono diverse, ognuno riflette valori e convinzioni profonde, che proprio nel nuovo contesto di un "governo tecnico" possono avere una ulteriore opportunità per esprimersi con rinnovata libertà e responsabilità personale. La stessa che si è vista, e non per caso, durante l’iter già svolto al Senato e alla Camera del ddl sulle Dat: a ogni votazione segreta il voto di coscienza dei parlamentari dei diversi gruppi ha portato un consenso trasversale alla legge più ampio di quello previsto. Per questo vogliamo votare definitivamente la legge e vogliamo che il suo iter abbia il termine naturale in questa legislatura. Vale la pena offrire al Paese una conclusione onesta di tanto serio lavoro perché lo abbiamo fatto pensando alle persone in stato vegetativo, per tutelare la vita loro e delle loro famiglie, lo abbiamo fatto per le persone malate guardando alla loro libertà e all’essenziale «alleanza terapeutica» con il loro medico, lo abbiamo fatto dicendo un fermo no all’eutanasia e un altrettanto lineare no agli accanimenti terapeutici. Grazie quindi, caro direttore, dell’attenzione di Avvenire... Speriamo che serva davvero a risvegliare la serena coscienza di tanti parlamentari perché riprendano con fiducia la loro discussione politica per concludere seriamente ciò che tanto li ha occupati e preoccupati in tutto l’arco della legislatura.
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