Dat, sensate nella cura non trasformate in norma
giovedì 15 giugno 2017

Caro direttore,
se, come sembra, la legislatura è destinata a concludersi alla sua scadenza naturale e cioè agli inizi del prossimo anno 2018, è verosimile che Pd e 5Stelle tornino ad allearsi per far passare anche in Senato (e senza modifiche) la legge sulle Dat. Il bello o il triste, come sempre, è che i corifei delle 'conquiste civili indispensabili per il Paese' arrivano con anni di ritardo sul dibattito internazionale, quando il pendolo della storia sta muovendosi in direzione opposta. È accaduto per l’aborto, sta accadendo per le Dat. È della scorsa settimana la pubblicazione di un importante articolo sull’autorevolissima rivista statunitense New England Journal of Medicine (Nejm) nel quale si propone di ripensare il concetto stesso di 'testamento biologico', sottraendo la materia all’ambito legale, per riportarla nel contesto clinico. Il titolo dell’articolo contiene un chiaro invito e un programma: «Delegalizzare le direttive anticipate di trattamento - Facilitare la pianificazione delle cure».

Quarantuno anni dopo l’approvazione in California della prima legge sul testamento biologico, gli autori sostengono che le formalità legali che avvolgono le Dat creano due principali problemi. Il primo è la burocratizzazione delle procedure, con necessità di testimoni, autenticazione di firme, utilizzazione di modelli predisposti. Si tratta di aspetti formali che creano una barriera soprattutto per i pazienti in più gravi condizioni e per l’attualizzazione del contenuto delle disposizioni ai mutamenti del contesto clinico. Il secondo e più importante aspetto negativo è che il modello di tipo giuridico ha finito per spostare la materia dagli ambulatori medici agli studi degli avvocati, dando ai pazienti l’illusione che le Dat possano esaurire il processo decisionale. Invece, anche quando gli avvocati incoraggiano i pazienti a discutere le loro direttive con medici e familiari, le zone di grigio restano inevitabilmente presenti, soprattutto al mutare delle circostanze cliniche. Il paziente magari ne discute con il suo medico, ma non necessariamente aggiorna le Dat, affinché riflettano sottili cambiamenti nelle sue preferenze e nelle sue convinzioni. La redazione delle Dat in ambito clinico consentirebbe anche il loro automatico inserimento nelle cartelle cliniche elettroniche, permettendo al medico di tenerne conto in tempo reale nel suo ragionamento clinico.

Secondo gli studiosi della Università di Pennsylvania, non vi sono neanche evidenze che la formalizzazione giuridica riduca i contenziosi in sede giudiziaria. Al contrario gli aspetti formali possono facilitare le dispute, anche perché, indipendentemente da chi ne predispone il testo, «le Dat raramente sono sufficienti a guidare con appropriatezza le decisioni in tutte le sfumature» che la clinica inevitabilmente propone. L’invito, dunque, è a sottrarre le direttive all’ambito legale, come condizione necessaria per integrarle meglio nell’ambito clinico, aumentando la probabilità che i desideri del paziente possano essere soddisfatti. Senza dimenticare che l’attuale sistema finisce per esporre a maggiori rischi i pazienti che, a causa delle barriere legali, rinunciano a documentare le proprie preferenze.

La conclusione dell’articolo è chiara: sottrarre le Dat dall’ambito giuridico delegalizzandole, per trasformarle in «strumenti più fluidi, dinamici e accessibili con cui promuovere le preferenze dei pazienti nella pianificazione delle cure». I temi del dibattito in corso negli Usa sono stati in qualche modo oggetto della discussione della legge alla Camera. Gli appelli a riportare il processo decisionale alla clinica, ai suoi concetti di appropriatezza e proporzionalità delle cure, non hanno, tuttavia, trovato ascolto, fino al paradosso di definire per legge l’idratazione e nutrizione come 'terapie', indipendentemente dal loro significato nello specifico paziente. Il Senato, tuttavia, potrebbe fare ancora in tempo a tenere in considerazione le critiche allo strumento delle Dat avanzate sul Neym, salvando invece l’articolo della legge sulla pianificazione delle cure. Così, almeno, eviteremmo la figura dei provinciali che rincorrono l’orologio delle mode.

*neurologo, deputato e presidente del Movimento per la vita italiano

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