venerdì 14 marzo 2014
​Non moriremo per Sinferopoli, ma il referendum secessionista che si tiene domenica in Crimea avrà certamente conseguenze rilevanti e durature nelle relazioni Est-Ovest così come nella casistica del diritto internazionale.
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Non moriremo per Sinferopoli, ma il referendum secessionista che si tiene domenica in Crimea avrà certamente conseguenze rilevanti e durature nelle relazioni Est-Ovest così come nella casistica del diritto internazionale.Trattare casi simili in modo simile è una delle basilari definizioni del concetto di giustizia. E quasi tutti concordano sulla necessità di rispettare la giustizia nonché sulla sua definizione. Ciò che spesso divide è però il giudizio sulla similarità dei casi. Uscendo dalla teoria politica, quanto simili sono le vicende del Kosovo e quelle della penisola affacciata sul Mar Nero? Ha ragione Mosca nell’opporre vari precedenti storici per legittimare la mossa del Parlamento regionale, che chiede ai suoi 2,3 milioni di cittadini (per il 58% di etnia russa) se vogliono aderire alla Federazione guidata da Vladimir Putin? La riposta che hanno dato Stati Uniti e Unione Europea è un deciso "no". Qualche imparziale studioso occidentale si è spinto a un più prudente "dipende". Di certo gli ultimi decenni hanno visto Stati dividersi e la comunità internazionale variamente sostenere o meno i relativi processi di separazione. In Kosovo, di cui la Russia si rifiuta fieramente di riconoscere l’indipendenza, un gruppo paramilitare albanese guidò la rivolta contro la Serbia del dittatore Milosevic, che rispose con una repressione feroce, al limite della pulizia etnica. La Nato, nel 1999, intervenne militarmente al fine dichiarato di proteggere la popolazione civile. Poi, la regione fu amministrata dall’Onu, fino a che Pristina, nel 2008, si dichiarò Stato senza più legami con Belgrado, ottenendo l’avallo di Washington e di molti ma non di tutti i Paesi europei. Fu un errore? Dal punto di vista legale si compì uno strappo. Il Kosovo oggi non brilla per i suoi risultati e le parti si sono invertite, con la minoranza serba privata del pieno godimento della cittadinanza sostanziale. La Serbia senza Milosevic è tuttavia destinata a entrare nell’orbita Ue con una piena democratizzazione dell’intera ex Jugoslavia.La Crimea fa parte a tutti gli effetti dell’Ucraina e Mosca, a partire dal dissolvimento dell’Unione Sovietica, ha riconosciuto in più occasioni formali l’integrità territoriale di Kiev. La Costituzione ucraina prevede esplicitamente che referendum per modifiche di confini debbano essere votati dall’intera popolazione; l’iniziativa di chiamare alle urne i crimeani è stata improvvisa e ha seguito l’occupazione del Parlamento locale da parte di miliziani, se non inviati perlomeno teleguidati dal Cremlino; inoltre, non sono noti episodi di gravi discriminazioni della componente russofona (la Crimea gode anzi di sovvenzioni da parte del governo centrale); infine, ai seggi si andrà con la per nulla discreta presenza di truppe di Mosca, che non avrebbero dovuto lasciare le basi sul territorio ucraino concesse in base a vecchi accordi. Ma tutto questo potrebbe non bastare. Non sono nati gli stessi Stati Uniti con una separazione "illegale" dalla madrepatria inglese, si chiedono i maligni? E perché l’America ha sostenuto il Kosovo contro la Russia, ma chiuse gli occhi davanti al modo spietato in cui Eltsin e Putin schiacciarono i ripetuti moti secessionistici in Cecenia? E qual è la coerenza - si dice - di tanti Paesi che hanno avallato l’indipendenza del Sud Sudan dal Sudan e di Timor Est dell’Indonesia, ma non della Palestina accanto a Israele? In tema di opportunismi, la Russia è messa ancora peggio: fomenta le rotture dei Paesi confinanti sobillando le minoranze (Transnistria in Moldova, Abkhazia e Ossezia del Sud in Georgia) ma invoca l’integrità territoriale dell’alleato siriano, il despota Assad, e non permette rivendicazioni in casa propria.Malgrado la nascita delle Nazioni Unite e i progressi indubitabili del diritto tra Stati, l’autodeterminazione dei popoli sembra soggiacere ancora più ai rapporti di forza complessivi che non a regole univoche riconosciute. Non si può dimenticare che in settembre la Scozia voterà per staccarsi pacificamente da Londra e che la Catalogna progetta di andare al referendum in novembre per dire addio alla Spagna, passo che Madrid non è per nulla intenzionata a concedere. Ecco perché non è possibile sottovalutare ciò che accadrà a Sinferopoli tra 48 ore. Il risultato è scontato (ma chi pensa ai cittadini che rifiutano l’indipendenza, qui come in altre situazioni?), non le sue ripercussioni. Se si mette tra parentesi l’inaccettabile pressione russa, il separatismo di Crimea è molto diverso da quello scozzese? La risposta dei giuristi differisce da quella dei leader politici. Ed è questo che spesso provoca i conflitti.
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