mercoledì 28 luglio 2021
Le strategie di Mosca e Ankara nello scacchiere internazionale. Struttura economica, impegno militare, leader e nazionalismo: interessi diversi, ma problemi simili per due Paesi
Un incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (a sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin

Un incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (a sinistra) e il presidente russo Vladimir Putin - Ansa

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Gli Usa si ritirano dall’Afghanistan? Recep Tayyep Erdogan proclama che non c’è problema, a custodire l’aeroporto di Kabul ci penseranno i suoi soldati. D’altra parte, dice lui, con i taleban ci s’intende, anche in nome della comune religione islamica. Vladimir Putin, invece, mobilita ministri e ambasciatori per far sapere che se i taleban creeranno problemi ai Paesi vicini, la 201° Divisione russa di stanza in Tagikistan è pronta a intervenire. A un primo sguardo Russia e Turchia sembrano avversarie naturali, se non proprio nemiche. In Siria, Mosca è pro-Assad e Ankara contro. Il Cremlino va d’accordo con Israele, Egitto e Arabia Saudita, la Sublime Porta con il Qatar. In Libia, la Russia è pro-Haftar, la Turchia contro. Nel Caucaso, la Russia appoggia (un po’ più) l’Armenia, la Turchia arma l’Azerbaigian. Ed Erdogan promette di costruire, nel Nagorno Karabakh tornato azero, una base che sarebbe il primo insediamento militare di un Paese Nato nel territorio dell’ex Urss. Ma vedrete, anche questa volta si metteranno in qualche modo d’accordo, com’è successo ogni volta che si sono incontrate o scontrate.

Russia e Turchia sono i gemelli diversi della politica internazionale. E a farle incrociare così spesso non sono le differenze, bensì le analogie. Hanno provato a lungo a integrarsi con l’Occidente senza pagar pegno ai valori e agli interessi altrui, e hanno subito l’esperienza bruciante del rifiuto. Vladimir Putin, dopo il summit con Joe Biden, ha ripreso discorsi che faceva già quindici anni fa, proponendo alla Ue di costruire uno spazio di collaborazione politica e commerciale dall’Atlantico al Pacifico, da Lisbona a Vladivostok. Ma i rapporti tra Mosca e Bruxelles sono quel che sono, e la Ue non ha lesinato le sanzioni contro la Russia. La Turchia, a sua volta, ha inseguito per decenni l’ingresso nella Ue. Sappiamo com’è finita, fino agli insulti e ai plateali sgarbi di Erdogan in pratica erga omnes, da Merkel a Macron a Von der Leyen.


Mosca e Ankara sono troppo grandi per accontentarsi e troppo piccole per essere protagoniste assolute. Ma non possono essere ignorate. Così Joe Biden ha messo Putin ed Erdogan tra i suoi primi incontri personali A collegare i destini dei due Paesi oggi c’è anche la parabola politica di Vladimir Putin e Recep Tayyep Erdogan

Tutto questo ha un peso anche su un’altra considerazione: Russia e Turchia sono ugualmente scontente del loro posto nel mondo. Mosca non vuol farsi relegare nel ruolo della potenza regionale, anche se poi i conti con la realtà diventano ineluttabili. La Russia, il più vasto Paese al mondo, ha un prodotto interno lordo più o meno pari a quello dell’Italia, un decimo di quello degli Usa. Ed è tuttora troppo dipendente dal mercato delle risorse energetiche, con gas e petrolio che nel 2019, come confermava il ministero delle Risorse Naturali e dell’Ambiente, ancora incidevano per il 60% sulla produzione nazionale di ricchezza. Non è un caso, e certo non è per incapacità manovriera di Mosca, se negli ultimi decenni l’area di influenza della Russia si è ridotta fino alla clamorosa “fuga” dell’Ucraina. Per abitudine fissiamo l’inizio dello scontro Russia-Europa al 2014, con i fatti di piazza Euro Maidan. Ma Putin segnalava l’insoddisfazione di Mosca fin dal 2008, prima dell’arrivo di Obama. E quello non a caso fu l’anno della guerra con la Georgia, vezzeggiata e poi abbandonata da George Bush. Il primo e più chiaro segnale che Mosca cercava una rivincita.

Per la Turchia il discorso è analogo. Essere il custode del lato Sud della Nato e il bastione anti-russo non basta più. Erdogan ha messo un milione di soldati (il secondo esercito della Nato dopo quello Usa) al servizio del sogno neo-ottomano e si è lanciato alla conquista di nuovi spazi in Siria, nell’Africa del Nord, nel Mediterra- neo, nel Caucaso, in Asia Centrale, come dicevamo persino in Afghanistan. Ma dove si può arrivare con un Paese che è stato quasi mandato in bancarotta, nel 2018, dai quattro dazi imposti da Donald Trump? Allo sconsolante “vorrei ma non posso”, Russia e Turchia hanno dato la stessa risposta: nazionalismo, riarmo, impegno militare. Dal nostro punto di vista di occidentali, un atteggiamento retrogrado e pericoloso. Nei giorni scorsi la Russia ha presentato un nuovo caccia “invisibile” e ha lanciato un missile supersonico della serie Zikron. Molti hanno detto: non producono una lavatrice o un computer, solo armi. Vero. Ma dal punto di vista russo e turco? Un Paese con ambizioni più vaste delle possibilità, come può ottenere pari dignità al tavolo dei grandi? In fondo per Russia e Turchia è stata la scelta più facile ed economica. Joe Biden ha chiesto al Congresso 722 miliardi di dollari per il prossimo budget della Difesa.

La Russia spende dieci volte meno ed è riuscita a procurarsi influenze notevoli in Medio Oriente, in Africa, in Asia Centrale e in un certo senso (vedi Crimea, con re- lativo Mar Nero, e Ucraina) anche in Europa. La Turchia spende 20 miliardi di dollari l’anno per la Difesa, ma tra mare, cielo e terra sembra ormai onnipresente. Sono turchi, per dire, anche i droni che l’Ucraina impiega sul fronte del Donbass. E infine, a collegare i destini di Russia e Turchia, c’è la parabola dei leader, Vladimir Putin e Recep Tayyep Erdogan. Glaciale il primo, focoso il secondo. Al potere dal 1999 Putin, dal 2003 Erdogan che però era già stato sindaco di Istanbul. Entrambi hanno avuto un primo decennio di grande dinamismo e iniziativa: ricentralizzando i poteri hanno rinsaldato lo Stato stabilizzato la società e dato impulso all’economia. Ma il secondo decennio è stato all’insegna della conservazione: in Russia con un culto della stabilità che ha prodotto anni di stagnazione, in Turchia con l’attivismo geopolitico usato per mascherare un disastroso populismo economico e finanziario (la lira ha perso il 55% del suo valore dal 2018) ben rappresentato dalla “strage” dei governatori e dirigenti della Banca centrale. Sia Putin sia Erdogan godono di un consenso ancora forte nella parte profonda dei rispettivi Paesi, ma non più nelle grandi città. Ankara e Istanbul le ultime elezioni amministrative hanno eletto sindaci dell’opposizione. A Mosca e San Pietroburgo si annuncia un “bagno” per il partito presidenziale Russia Unita alle elezioni di settembre, e centri importanti come Khabarovsk o Ekaterinburg ribollono.

Nell’uno e nell’altro Paese è la rivolta dei poteri locali, che incarnano l’insoddisfazione della gente comune assai più dei dissidenti classici (Navalny in Russia, per fare un esempio), che hanno poco seguito e sono facilmente controllabili. Russia e Turchia, quindi, hanno interessi diversi, ma condizioni e problemi simili. Sono troppo grandi per accontentarsi e troppo piccole per realizzarsi. In ogni caso non possono essere ignorate. Così Joe Biden ha messo proprio Putin ed Erdogan tra i suoi primi incontri personali. Vedremo se il nuovo inquilino della Casa Bianca saprà risolvere il rebus di questi nemici- amici che ha fatto venire l’emicrania a diversi suoi predecessori.

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