sabato 15 novembre 2008
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Sono appena rientrato dall’ospedale: dista 25 chilometri. Un mio parrocchiano sta attendendo che Dio apra la Porta. Lo sa. All’inizio con rassegnazione, oggi con fiducia e serenità: Dio aprirà la porta. È in agonia. Chiede spesso di me e la moglie mi chiama. La moglie: con una mano accarezza il marito e con l’altra si asciuga le lacrime. E insieme pregano. E io vado: avanti e indietro. Due, tre volte al giorno. Con questo stato d’animo accolgo la notizia di Eluana. Non ho parole. E quelle poche che ho le prendo dal beato Von Galen, il Leone di Münster (1878-1946) che in modo lapidario denunciò le nefandezze hitleriane condotte sugli inermi. Tornano così attuali, eccole: «...quando sono venuto a conoscenza che dei malati della casa di Marienthal dovevano essere portati via, per essere uccisi, io il 28 luglio ho sporto denuncia al pubblico ministero della pretura di Münster... Già il 26 luglio avevo protestato... Senza esito. Così noi dobbiamo tener conto del fatto che i poveri e indifesi malati prima o poi saranno uccisi. Perché? Non perché siano colpevoli di un crimine che meriti la morte, non perché forse abbiano aggredito il loro infermiere o guardiano, di modo che costui, per salvaguardare la propria vita, non abbia avuto altra scelta che affrontare con la forza, per legittima difesa, l’aggressore. Questi sono casi in cui, oltre all’uccisione del nemico armato del Paese in guerra giusta, è lecito l’uso della forza fino all’uccisione e, spesso volte, è anche necessario. No, non per tali motivi devono morire quegli infelici malati, ma perché, secondo il giudizio di un ufficio, secondo il parere di una qualunque commissione, son divenuti "indegni di vivere", per il fatto che, secondo tale perizia, fanno parte dei "connazionali improduttivi". Si giudica: non possono più produrre, sono come una vecchia macchina, che non funziona più, come un vecchio cavallo diventato inguaribilmente zoppo. Sono come una mucca che non dà più latte. Cosa si fa con una tale macchina? Viene demolita. Cosa si fa con un cavallo zoppo, con una talaltra bestia improduttiva? No, non voglio portare a fine questo paragone, per quanto tremendi siano la sua giustificazione e il suo potere illuminante. No, qui si tratta di esseri umani, nostri consimili, nostri fratelli e sorelle! Ma per questo non meritano di essere uccisi. Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo "improduttivo" possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti!... Allora nessuno è più sicuro della propria vita... e nessuna polizia li proteggerà, e nessun tribunale punirà il loro assassinio e condannerà l’assassino alla pena che merita» (dall’omelia del 3 agosto 1941). Ahimè, meglio che torni dal mio malato: lui attende che la porta si apra. Lui sa che il Signore gli aprirà.
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