sabato 4 aprile 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro Direttore, se per superare la crisi siamo ancora alla riduzione dei tassi d’interesse, allora le possibilità di uscirne sono veramente nulle. Anche durante la catastrofe del 1929 si tentò, inizialmente, con questo tipo di provvedimento: i risultati furono pari a zero. Come lo saranno questa volta. Allora la crisi venne arginata e poi superata solo quando lo Stato americano iniziò a spendere, non curandosi del deficit. So che liberisti e neoliberisti a queste mie parole storceranno il naso, ma se i cittadini non hanno la sicurezza dello stipendio e del futuro, e se gli imprenditori non vedono occasioni favorevoli per avviare nuove attività, la riduzione dei tassi può aiutare a superare la crisi come l’acqua fresca.

Marco Di Mico

La questione che lei pone è ciclopica, e personalmente non sono affatto certo che per risolvere la crisi basti scegliere di allentare le briglie del deficit pubblico. Tuttavia, tocca così da vicino il nostro vissuto quotidiano da non potersi sottrarre al confronto almeno su qualcuno dei suoi aspetti. Come sa, l’altro ieri la Bce ha effettuato l’ennesimo «taglio» al costo del denaro, portando il tasso di riferimento al minimo storico: 1,25%, il più basso dai tempi della seconda guerra mondiale, quando il mondo si trovava nell’abisso. È evidente l’intento della Bce di fronteggiare la panne d’Eurolandia – che è economica e finanziaria, non più solo contingente ma strutturale – con una politica monetaria meno restrittiva: infatti, stando alle attese, la nuova sforbiciata «potrebbe comportare per le famiglie un risparmio di qualche decina di euro sulle rate mensili dei mutui» . Non solo, ma secondo il presidente Jean Claude Trichet i tassi «potrebbero scendere ancora» . La cura, insomma, vuol essere da cavallo. Ciò non toglie che per qualcuno possa apparire più adatta alla malattia (la crisi, in senso astratto) che non al malato (la persona coi suoi problemi concreti, quotidiani). Non basta rendere il denaro meno caro quando poi la gente perde reddito e potere d’acquisto a causa dei licenziamenti, della cassa integrazione, del precariato, del crollo della produzione e degli ordini. Quanto mi giova pagare meno il mutuo casa quando non ho più un reddito, o questo si è ridotto drasticamente? Il problema, quindi, è soprattutto quello di sostenere e creare lavoro e occupazione. Questa fu in passato la strada seguita dai dirigenti Usa quando, con coraggio, sulle ceneri di un’economia capitalista distrutta dalla grande depressione, avviarono il « new deal » puntando sugli investimenti statali e sulle grandi opere pubbliche, che non solo crearono tre milioni di posti di lavoro ma modernizzarono il Paese, portando l’America al rango di potenza planetaria. L’intervento dello Stato nell’economia attraverso la realizzazione di infrastrutture, le commesse pubbliche all’industria, la creazione di un Welfare State in grado di proteggere la forza lavoro disoccupata furono negli anni 30 i cardini della rinascita. Non so se o fino a che punto questa ricetta sia applicabile, per ricalco, all’oggi. Certo è che, di fronte alla catastrofe ( finanziaria e sociale) dell’economia borsistica, sia in America sia in Europa torna a spirare un vento keynesiano. Anche da noi c’è un ciclopico piano di investimenti in strutture e infrastrutture ( alta velocità, ponte sullo Stretto, autostrade del mare e sistema portuale). Ai prossimi mesi il riscontro della sua concretezza e, tutti ci auguriamo, dei suoi benefici.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI