Contemporanei non conformisti
martedì 1 ottobre 2019

La recezione del Concilio Vaticano II, nonostante i più di cinquant'anni trascorsi dalla sua conclusione, non ha ancora finito di dare frutti nella Chiesa, come si vede dalla Lettera apostolica di papa Francesco, Aperuit illis, con la quale si istituisce la Domenica della Parola di Dio. Non è una decisione da poco un atto che dedica un’intera Domenica a far festa attorno alla Parola di Dio. In una certa misura, è qualcosa di analogo al Corpus Domini, solennità così radicata nel sentire del popolo cristiano, istituita nel 1264 da Urbano IV per incrementare la devozione all’Eucarestia. Il Concilio, infatti, nella costituzione dogmatica Dei Verbum ricorda: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita della mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo…».
Questa coscienza si è sviluppata, con forza, soprattutto dopo il Vaticano II che – come afferma Francesco – «ha dato un grande impulso alla riscoperta della Parola di Dio…». Basterebbe ricordare come, con la riforma liturgica, il popolo ha cominciato ad ascoltare le letture della Bibbia nella propria lingua. Un grande appassionato di lectio divina, il monaco Mariano Magrassi, affermava che attraverso questa riforma e la lingua parlata, il Concilio è arrivato al popolo di Dio.

Non si tratta qui di ripercorrere la storia di mezzo secolo e più d’iniziative, passioni, studio, impegno. Purtroppo, il Sinodo dei vescovi del 2008, il cui messaggio era stato lanciato da Benedetto XVI nel bel testo della Verbum Domini, ebbe un impatto relativo. Francesco, al termine del Giubileo della Misericordia, invitando a dedicare una Domenica interamente alla Parola di Dio, ha posto di fronte un punto di partenza. Ora, con questa Lettera, il Papa stabilisce che la III Domenica del Tempo Ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio: un impegno per le Chiese locali e le comunità. La data è vicina alla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e alla giornata del dialogo ebraico-cristiano. La decisione recepisce le tante esperienze fatte dopo il Concilio e le rilancia – come un unico cammino – verso il futuro. Chiede impegno e creatività in una passione da condividere: che la Parola di Dio cresca tra i credenti e nella Chiesa. Così cresce la coscienza della Chiesa: «La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità», afferma la Aperuit illis. È una crescita spirituale e di coscienza, che avviene – lo insegnava Gregorio Magno – quando si legge la Parola di Dio. La Dei Verbum ha rilanciato questa antica sapienza: «cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione apostolica hanno ricevuto un carisma sicuro di verità». La Parola cresce nella Chiesa.
Ricordo come il monaco Benedetto Calati, cultore di san Gregorio Magno, sottolineasse con entusiasmo questo dinamismo, cui davano impulso anche i fedeli con l’ascolto e l’esperienza spirituale. Diceva: «tutta la comunità ecclesiale (…) assume il suo ruolo profetico nella comune intelligenza e crescita della Parola». Nella trascuratezza di un aspetto così cruciale sta, forse, il motivo dell’immaturità spirituale. Giovanni Crisostomo spiegava predicando ai fedeli laici: «Si potrebbe dire: non sono un monaco, ma ho moglie, figli e la cura di una casa. Questo è quello che ha rovinato tutto: che pensate che la lettura delle Scritture divine riguardi solo quelli [i monaci], mentre ne avete bisogno molto più di loro».

Si sono preferiti un infantilismo spirituale o un apprendimento mnemonico e dottrinale, piuttosto che il contatto vivo con le Scritture. Del resto, il Concilio richiama san Girolamo che affermava: «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». Il testo dell’Aperuit illis è bello e profondo, ricco di spunti. L’accoglienza di questo messaggio da parte delle comunità si muove da una coscienza fondamentale da condividere: «La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni… Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola». Non appartiene ad «alcuni circoli o a gruppi prescelti», perché «la Bibbia è il libro del popolo di Dio». Questo vuol dire inaugurare o far maturare quella che definirei una 'devozione' di popolo per la sacra pagina della Bibbia, leggendola, vivendola, venerandola, ponendola al centro della vita e della comunità. È un processo lungo – non siamo però solo all'inizio – che merita impegno e creatività, consapevoli che «chi si nutre ogni giorno della Parola di Dio si fa, come Gesù, contemporaneo delle persone che incontra…». Nella complessità del mondo contemporaneo, nell’incrocio e nello scontro delle identità, non ci può trincerare dietro i muri né, d’altra parte, diluirsi in un conformismo che Fromm definiva la «religione del nostro tempo». Per affrontare la complessità contemporanea, le donne e gli uomini credenti sono chiamati a unificare il loro cuore nell'ascolto della Parola e ad aprirsi alla molteplicità degli incontri e dei percorsi. È la lezione di Giovanni Crisostomo, maestro dell’ascolto della Parola di Dio: «Siate semplici con intelligenza».

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