martedì 25 maggio 2010
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I direttori e le redazioni dei giornali italiani, con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, denunciano il pericolo del disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche per la libera e completa informazione.Questo disegno di legge penalizza e vanifica il diritto di cronaca, impedendo a giornali e notiziari (new media compresi) di dare notizie delle inchieste giudiziarie – comprese quelle che riguardano la grande criminalità – fino all’udienza preliminare, cioè per un periodo che in Italia va dai 3 ai 6 anni e, per alcuni casi, fino a 10. Le norme proposte violano il diritto fondamentale dei cittadini a conoscere e sapere, cioè ad essere informati.È un diritto vitale irrinunciabile, da cui dipende il corretto funzionamento del circuito democratico e a cui corrisponde – molto semplicemente – il dovere dei giornali di informare. La disciplina all’esame del Senato vulnera i principi fondamentali in base ai quali la libertà di informazione è garantita e la giustizia è amministrata in nome del popolo.I giornalisti esercitano una funzione, un dovere non comprimibile da atti di censura. A questo dovere non verremo meno, indipendentemente da multe, arresti e sanzioni. Ma intanto fermiamo questa legge, perché la democrazia e l’informazione in Italia non tollerano alcun bavaglio. LA POSTILLA DEL DIRETTORE Non mi sento di sottoscrivere in tutto e per tutto il testo sopra riportato. Da direttore di Avvenire, fatico a riconoscermi in esso soprattutto per un motivo: nella riunione convocata dalla Fnsi ci sono stati anche accenti riflessivi e saggiamente autocritici da parte di vari autorevoli colleghi, ma di questi nel comunicato finale non v’è la minima traccia. Peccato. Credo che noi giornalisti non dovremmo perdere occasioni al cospetto dell’opinione pubblica per affermare il nostro lavoro più come servizio che come potere, più come responsabilità liberamente assunta e liberamente attuata che come libertà tout court. Non voglio essere equivocato e perciò ribadisco anche qui, chiaro e tondo, che neanche a chi fa Avvenire piace l’idea di un possibile lungo "silenziatore" mediatico alle inchieste su malavita, malafinanza e malapolitica: sarebbe pericoloso tentare di imporre un simile "tappo" e, alla fine, in un grande Paese democratico come il nostro, sarebbe anche tormentosamente inutile. So però – lo dico da cittadino prima che da giornalista – che lo statu quo è ingiusto e insopportabile. Ci sono un bene da tutelare e un bene da recuperare. Va preservata l’efficacia dell’azione della magistratura, che non può e non deve ritrovarsi con armi spuntate nel suo impegno contro ogni forma di criminalità. E va ripristinato l’ossequio assoluto al principio di presunzione d’innocenza e, dunque, il rispetto delle persone coinvolte in inchieste anche scottanti che non possono e non devono più essere oggetto di incivili e inappellabili processi mediatici spesso segnati, grazie alla divulgazione di conversazioni telefoniche intercettate, da devastanti incursioni nella loro sfera privata. Anche questo dobbiamo sentire come dovere.
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