Come un tampone per l'Unione Europea
mercoledì 4 marzo 2020

Il coronavirus ha definito in pochi giorni la fondamentale differenza tra comunità e gruppo di singolarità incongruenti per natura e volontà. Come una chirurgia lucida e puntuale, ha mostrato istantaneamente e senza preavviso la natura intima di individui e istituzioni rivelando criticità psicologiche e sociali latenti ma sempre pronte a esplodere alla prima emergenza.

La quotidianità del consesso sociale, con le sue finzioni e i minuetti, si è improvvisamente sgretolata di fronte a un fuggi fuggi generale che ricorda da vicino quello di intere folle che calpestano chiunque pur di salvarsi, generando più morti e feriti della fonte stessa di allarme, quale che sia la sua gravità, relegando i calpestati come effetti collaterali anonimi, se non nemici della salute pubblica sacrificabili per il bene comune. Non fa eccezione l’Unione Europea, organismo ancora fragile, giovane, indeciso, che fatica non poco a definire obiettivi e politiche comuni. Condivido pienamente il suo sogno di libertà e di osmosi prolifica tra le varie culture che costituiscono il nucleo imprescindibile della cultura occidentale, per storia e sacrifici.

Antidoto pacifico verso il fanatismo patrio esasperato, carico di deliri di superiorità e chiusure mentali dense di sventure, passate e forse future. In questi giorni anche l’Unione Europea fa il suo tampone. I risultati sono il test perfetto per definire chi la considera meta da raggiungere o ostacolo alle proprie manie di grandezza. Senza uno spirito realmente comunitario l’Unione Europea è destinata a fallire. Comunitario. Il punto è proprio qui. Cosa significa comunitario? Significa identità certamente, ma nel quadro più ampio della condivisione. Comunità significa che i problemi di uno sono quelli di tutti e così le soluzioni. Articolate, beninteso. Complesse, certamente. Ma condivise. Nella gestazione e nella nascita.

Responsabilità comune dentro le singolarità di chi la compone, rispetto del contesto e contributo alle soluzioni in una ottica d’insieme. L’opposto è il gruppo gerarchico, in cui la parola d’ordine non è 'condivisione', sostituita da superiorità, gerarchizzazione, sopraffazione. Una visione comunitaria proviene dalla coscienza individuale. Ci sarà sempre chi vuole ricostruire un impero, la cui definizione è per se stessa negazione dei diritti umani e del rispetto.

Ci sarà sempre chi, per mostrarsi fedele alla propria gente (definizione che mi irrita profondamente, perché non siamo proprietà di nessuno e non ne abbiamo diritti di proprietà su alcuno) tradisce i criteri di rispetto per l’uomo, indipendente da ogni differenza individuale, dalla più impercettibile alla più macroscopica. Le varie creature mostruose che hanno percorso la guerra dei Balcani, esempio vicinissimo a noi nel tempo e nello spazio, come Radovan Karadžic, Željko Ražnatovic meglio noto come Arkan con le sue 'tigri', dichiaravano di agire per la propria gente. Perversione assoluta dei concetti di vicinanza e solidarietà.

Esasperazioni, si dirà. Certo. Casi esasperati, ma non così eccezionali. In situazioni estreme ne scopriremmo degli altri tra quelli che oggi, cogliendo ogni possibile occasione, si limitano a masticare tra i denti parole di odio distillate con il contagocce per permettere al lupo di apparire agnello. Il coronavirus ci dirà se la percezione della Ue è quella di una famiglia che non rinnega i suoi componenti di fronte agli inevitabili problemi, in una gara fratricida senza senso su chi rimane col cerino in mano. Ci dirà con chiarezza se invece è una raccolta di gruppi che, ritenendosi ciascuno superiore, etichettano come untori tutti gli altri, come se un virus fosse selettivamente permeabile alle stirpi che si immaginano elette e alle loro salvifiche barriere doganali.

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