giovedì 21 ottobre 2010
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È rosso l’abito dei cardinali. Come il sangue dei martiri, che richiama. Come il fuoco che troppe volte ha bruciato le nostre fragili attese di pace. Come il cielo che annuncia l’arrivo di un nuovo giorno, l’alba di una nuova speranza. Perché da disegno astratto diventi vita, c’è bisogno che non smarrisca mai l’orizzonte del Vangelo, che si nutra ogni giorno, ogni momento, di preghiera.È il compito che Benedetto XVI affida ai cardinali che creerà nel Concistoro del prossimo 20 novembre. 24 le nuove porpore, da quattro continenti, con l’Italia (10) protagonista. Ma sarebbe sbagliato leggere l’annuncio fatto ieri dal Papa con la lente per certi versi distorta della geopolitica. Perché i confini della Chiesa hanno come primo perimetro il cuore dell’uomo e la sua universalità trova radice nell’amore al singolo, alla persona. Ogni ministero, ogni incarico, ogni servizio, ha senso in sé e al tempo stesso si spiega soltanto quando inserito in un progetto più grande, di comunione.Certo, ci sono realtà, frontiere, dove testimoniare il Vangelo significa persecuzione ma può essere altrettanto difficile vivere la fede nel ricco Occidente in cui chi crede è guardato con ironia e Dio spesso viene relegato a fatto privato quando non a soprammobile da spolverare ogni tanto. Ecco allora l’importanza che lo sguardo del Papa spazi oltre ogni confine, sia geografico che culturale.Così tra i 24 prossimi cardinali, dieci appartengono alla Curia Romana, strettamente legata al Successore di Pietro, e ideale linea di collegamento tra lui e le Chiese locali, e altrettanti sono gli arcivescovi residenziali. Nell’architettura della carità disegnata dal Pontefice hanno trovato posto lo statunitense «di Washington» Wuerl e l’ecuadoriano Vela Chiriboga, il successore di Ratzinger sulla cattedra di Monaco, Marx e Romeo, guida pastorale di Palermo, realtà di cui la recente visita di Benedetto XVI ha documentato vitalità e coraggio. Grande l’attenzione al Medio Oriente con la porpora al patriarca di Alessandria dei Copti, l’egiziano Naguib relatore generale al Sinodo che si chiude domenica e guida della più piccola tra le Chiese orientali cattoliche, nello scenario di un islam dominante. Non solo numericamente.Altrettanto difficile e contrastata, se non di più, l’opera di pace svolta nella martoriata Repubblica Democratica del Congo dall’arcivescovo di Kinshasa Monsengwo Pasinya, da sempre in prima linea nel contrastare ogni violazione dei diritti umani. Un impegno che non si esaurisce nella denuncia ma punta diritto a costruire un «Paese d’eccellenza» – come ha auspicato in una recente omelia. Profonde le ferite lasciate dalla guerra intestina anche in Sri Lanka dove dal 2009 svolge il suo ministero episcopale l’arcivescovo di Colombo Ranjith, protagonista del complesso lavoro di riconciliazione tra buddisti e indù. Già segretario della Congregazione per il culto divino, l’unico asiatico tra i nuovi cardinali testimonia come Curia Romana e impegno nelle Chiesa locali siano in realtà facce dello stessa missione.Un compito affidato non a uomini di potere ma a «pastori», consapevoli, come ha detto ieri il Papa nell’udienza generale, che l’esercizio dell’autorità dev’essere sempre «vissuto come servizio alla giustizia e alla carità». Una lezione che Benedetto XVI ha tratto dalla vita di santa Elisabetta d’Ungheria, donna e madre, come Maria di Nazaret, la madre per eccellenza. Venerata in Brasile ad Aparecida, il cui arcivescovo Damasceno Assis riceverà il 20 novembre la porpora della comunione e della testimonianza.
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