giovedì 23 dicembre 2010
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È arrivato davvero il momento di tornare a guardare al Paese e soprattutto alla sua coesione sociale, nella vita di tutti i giorni come nelle stanze del Palazzo. E finalmente non solo in maniera retorica, ma magari anche sulla base degli studi e delle riflessioni prodotte nell’ambito della comunità scientifica internazionale sulla coesione, per capirne la natura e l’importanza, e per costruirne misurazioni significative.Concetto coniato già nell’800, ma relegato per lungo tempo in ambiti ristretti di analisi e dibattito, la coesione sociale rappresenta oggi un riferimento fondamentale per lo sviluppo civile, e anche per quello economico e politico: è un valore collettivo che rimanda a una lunga serie di fattori che lo compongono. In estrema sintesi le sue dimensioni (cui corrispondono specifici indicatori, che permettono anche di capire da dove si potrebbe ripartire...) sono due: da un lato le "minacce" alla coesione – e cioè le ineguaglianze, le disparità, l’emarginazione, la frammentazione – e dall’altro i "fattori di promozione" della coesione – e cioè le relazioni sociali, i legami, l’impegno, la partecipazione, l’identità. Un confronto sistematico tra Paesi europei, realizzato a Mannheim da Simon (sistema di monitoraggio degli indicatori sociali), mostra ad esempio come l’Italia esibisca, sulla base di quegli indicatori, un livello di coesione più basso di quello della Germania. Ma soprattutto sia dalle analisi della Commissione Europea sia da quelle dell’Ocse e del Censis risulta che tutto ciò che ha a che fare con la coesione incide sulla capacità di reazione alle crisi (visto che c’è una correlazione significativa tra scarsa coesione, occupazione in calo e povertà in crescita). E che un’influenza non indifferente sul grado di coesione di una società viene esercitata dagli investimenti nel settore terziario, e in particolare nel terziario pubblico, dal sostegno pubblico al reddito e alla disoccupazione.Particolarmente interessanti sono i dati di confronto rispetto alla percezione delle difficoltà, raccolti dalla Ue. La soddisfazione nei confronti della propria vita, nel 2009 rispetto al 2008, mostra punteggi variabili tra i diversi Paesi europei, tra l’8% della Danimarca e il 5% dell’Ungheria: in Italia abbiamo un punteggio attorno al 7%, ma con una tendenza al peggioramento particolarmente accentuata. Quanto al timore di perdere il lavoro, sempre nel 2009, i "preoccupati" oscillano tra il 65% della Spagna e il 7% della Svezia, e l’Italia è al 40%. Rispetto alla sanità – una delle eccellenze italiane – la percezione dei peggioramenti nell’accesso ai servizi sanitari vede, tra il 44% della Lettonia e il 5% della Danimarca, il 14% dell’Italia. La percezione dei cambiamenti intervenuti nel livello di povertà mostra, tra il 51% della Lettonia e il 5% dell’Olanda, un 37% per l’Italia.Tutti i dati, in sostanza, confermano l’ipotesi secondo la quale la crescita e l’occupazione giocano un ruolo nelle condizioni di vita e anche nella percezione soggettiva del proprio stato di benessere, ma questo ruolo non produce effetti automatici. E che è proprio la coesione sociale, in tutte le sue dimensioni, l’elemento che fa la differenza per il benessere, come per l’economia e anche per la politica. Le performance dei vari contesti sociali, in particolare di quelli europei, mostrano infatti che è produttivo investire sull’affiancamento alle politiche economiche di un set adeguato di politiche sociali per la coesione, che si occupino in modo particolare di raggiungere le fasce sociali più svantaggiate e soprattutto quelle escluse dal mercato del lavoro. I principi portanti del modello renano della "economia sociale di mercato" ne escono valorizzati, per le opportunità che offrono nel contrasto agli eccessi delle logiche dell’economicismo e della spettacolarizzazione e drammatizzazione del confronto politico.
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