sabato 11 ottobre 2014
Addio alle province: secondo giro di elezioni con appuntamenti clou a Napoli, Torino e Bari. ​Democrazia, competenze e risorse: ecco le sfide aperte di una rivoluzione tutta da inventare. (Marco Iasevoli)
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Listoni, larghissime intese, accordi sottobanco, spartizioni e veleni. Dopo la tornata del 28 settembre, si chiude domani, con appuntamenti clou a Napoli, Torino e Bari, il primo test elettorale delle Città metropolitane e delle 'nuove' Province. Ed è un bilancio con più ombre che luci. Nel complesso, da lunedì avranno votato i loro nuovi Consigli 64 Province e 8 aree metropolitane corrispondenti alle vecchie Province di Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Bari. Dopo, mancheranno all’appello Venezia (prima si deve scegliere il sindaco del comune capoluogo) e Reggio Calabria (bloccata dal commissariamento). La prima vera novità è che, per effetto del disegno di legge Delrio (legge 56/2014), alle urne ci sono andati non i cittadini, ma solo amministratori e consiglieri comunali. Affluenze sostenute, mai inferiori al 70% e spesso superiori all’80. Ma con un paradosso: la gran parte degli esiti era già scritta. Poco o nessun pathos anche per conoscere i vertici delle nuove istituzioni: i sindaci metropolitani sono, di diritto, i sindaci dei comuni capoluogo; i presidenti di Provincia nella gran parte dei casi sono stati predeterminati da ampi accordi trasversali tra partiti e liste civiche. I consiglieri eletti sono suddivisi in modo più o meno proporzionale al peso provinciale dei singoli partiti. E le eventuali deleghe amministrative (vicepresidenti, consiglieri con portafogli…) saranno distribuite in base ad accordi precedenti il voto.   Nei fatti, le prime elezioni di secondo livello si sono trasformate in elezioni-fantasma, programmate a tavolino, totalmente oscure ed enigmatiche per i cittadini e l’opinione pubblica. Colpa anche delle dinamiche interne alla politica locale e alla sostanziale indifferenza delle segreterie nazionali. I numerosi casi di listone unico Pd-Forza Italia-Ncd sono stati letti come un mero 'inciucio' anziché come una legittima necessità derivante dai comuni problemi amministrativi. Situazioni ambigue aggravate da una grossa carenza di comunicazione: alle liste non è infatti stato associato uno straccio di programma pubblico, i candidati si sono spesi più nelle stanze di partito che tra la gente, nessuno ha avuto cura di spiegare se, come e perché queste 'nuove' istituzioni che sono le Città metropolitane (in realtà molto simili alle vecchie Province) potranno cambiare la vita ai cittadini.   Una 'raddrizzata' democratica è necessaria, in modo particolare per le Città metropolitane, che dal ddl Delrio ottengono un sostanzioso ruolo politico e interessanti prospettive di crescita. Per parlare chiaro: il nuovo assetto – come avviene in altri Stati – delega la scelta degli amministratori di 'area vasta' al ceto politico locale, ma allo stesso tempo i nuovi enti restano potenti centrali di spesa. A fronte di un risparmio da 100 milioni annui sui costi della politica (via le spese per le elezioni e via gli indennizzi per consiglieri e amministratori, ci si auspica un analogo embargo per tutte le spese per personale e staff parapolitici), restano circa 10 miliardi di uscite delle vecchie Province (2 di stipendi, 8 per appalti, servizi, prestazioni sociali…) che la politica ora gestirà senza aver avuto un consenso popolare. Fin quando non ci sarà una vera redistribuzione delle funzioni, delle risorse e delle competenze tra Stato, Regioni e Comuni, l’attuale delega in bianco ai partiti va corretta, integrata, aggiustata.  I nuovi enti entreranno nel pieno esercizio delle funzioni l’1 gennaio 2015. Tra i primi compiti dei nuovi consigli delle Province e delle Città metropolitane ci sarà quello di stendere uno Statuto. È questo il luogo per recuperare democraticità, per imporre regole più stringenti al momento elettorale, per garantire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, per garantire equilibrio tra grandi centri e periferie, per introdurre serrati controlli sugli atti politici e amministrativi. Per stabilire gli effettivi poteri di proposta e di controllo dei Consigli e delle Conferenze dei sindaci (una sorta di Assemblea plenaria del territorio). Alcuni sindaci metropolitani già si sono sbilanciati sull’ipotesi di chiamare i cittadini a votare quantomeno il vertice del nuovo ente. Potrebbe essere una strada almeno per la Città metropolitana, dove è forte il rischio di un predominio del Comune capoluogo sulle periferie. Massima vigilanza, dunque, su un sistema che è stato faticosamente costruito in modo da anticipare la vera riforma, quella che farà sparire dalla Costituzione la parola 'Province'. L’idea è condivisibile, avvia lo snellimento istituzionale di cui il Paese ha bisogno, ma se mal gestita potrebbe suonare come un campanello d’allarme in vista del superamento del bicameralismo perfetto, che prevede elezioni di secondo livello anche per il Senato della Repubblica. Sul fronte delle funzioni e delle competenze, nei fatti non è cambiato nulla. Le Città metropolitane e le Province si occuperanno, come gli enti che sostituiscono, di strade intercomunali, edilizia scolastica, politiche attive del lavoro, formazione professionale. Roba che pesa. Erediteranno entrate e spese, e gli obiettivi di spending review. Quanto alle risorse, i nuovi presidenti provinciali e sindaci metropolitani già sono sul piede di guerra con il governo. Ma con un deficit nazionale che balla pericolosamente intorno al 3% del Pil, i loro appelli resteranno inascoltati. Si sta vagliando la strada di incassare parte dell’Irpef regionale, prendendosi però in carico servizi che i governatori non riescono a gestire su una scala territoriale troppo ampia.   La vera grande sfida dei nuovi enti, e in modo speciale delle Città metropolitane, è insomma quella di passare a una pianificazione territoriale integrata, provare a fare 'sistema', a disegnare lo spazio facendo in modo che i Comuni condividano non solo regole e prassi urbanistiche (già sarebbe tanto), ma soprattutto il progetto complessivo, un’idea di sviluppo industriale e mobilità collegata, un indirizzo forte su istruzione secondaria e formazione professionale, ricerca, servizi, commercio, Terzo settore. Una rivoluzione culturale per la politica 'del campanile' di casa nostra, dove gran parte del potere del sindaco nel Comune medio-piccolo si esercita nella concessione di licenze edilizie, permessi a costruire e nella gestione clientelare di piccoli appalti, dove magari la stessa strada ha livelli di manutenzione diversi a seconda dell’amministrazione competente, dove – nell’incapacità di condividerne i benefici con i vicini – ci si prende a capelli per avere una scuola, un ospedale, un insediamento produttivo a casa propria. Nella stessa logica va inquadrata la possibilità di dare alla Città metropolitana il potere di fungere da stazione appaltante per i propri Comuni e addirittura di organizzare per loro concorsi e selezioni: una mossa contro la frammentazione e il rischio-corruzione che però dovrà vincere tante resistenze.   Gli Statuti ancora da scrivere dei nuovi enti potranno essere il banco di prova per aprire strade innovative anche sul fronte dei servizi digitali, sociali ed educativi. Attraverso convenzioni con le Regioni, ma anche attraverso un trapasso parziale e volontario di competenze dai Comuni, si potrebbe – volendo – ragionare in modo sistemico, e non parcellizzato, su banda larga, accesso all’istruzione e lotta all’evasione scolastica, sostegno al lavoro femminile, sistema dei nidi e assistenza alla famiglia. Il ddl Delrio, per le Città metropolitane, parla apertamente di «strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici e organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale». Un fronte ampio in cui rientrano anche ambiente e rifiuti. E che, potenzialmente, può spalancare le porte a una bella rivoluzione. Passati i primi mesi di rodaggio, inizieremo a capire se i nuovi enti hanno accolto davvero la sfida oppure se siamo di fronte all’ennesimo caso di trasformismo istituzionale. Per togliere i dubbi a chi ha guardato con disincanto, distacco e indifferenza a queste strane elezioni, si potrebbe iniziare con un piccolo gesto di coraggio: qualcuno ha capito mai a cosa serve la polizia provinciale?
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