Caro direttore,
la ringrazio per la tenacia con cui quasi ogni giorno “Avvenire” pubblica servizi approfonditi e spesso agghiaccianti su quello che succede in Libia. Le condizioni infernali in cui sono detenuti migliaia di profughi che vorrebbero giungere in Europa dovrebbero essere a conoscenza di tutti. Sono numerose anche le trasmissioni tv che trattano il tema, con la presenza spesso di testimoni oculari delle efferatezze ai danni di donne e uomini. Operatori umanitari, rappresentanti di agenzie quali Save the children, Medici senza frontiere, Unicef, Acnur, Oim, etc., giornalisti coraggiosi (penso anche a Domenico Quirico), parlamentari (pochi), lo stesso viceministro degli Esteri Giro, denunciano le torture, gli stupri, lo sfruttamento, la riduzione in schiavitù, le violenze inumane di ogni tipo che avvengono nei lager libici. D’altra parte, voci autorevoli manifestano la loro soddisfazione per la drastica diminuzione degli arrivi di migranti, conseguenza della “svolta” di Minniti con gli accordi che il ministro dell’Interno ha stretto con “autorità locali” libiche. Renzi, con toni trionfalistici, definisce la formula “aiutiamoli a casa loro” come la più indovinata ed efficace per bloccare le partenze dal Nord-Africa; Gentiloni, con la pacatezza che gli è propria, dice più o meno la stessa cosa, seguito da Confindustria e Ue. Io mi vergogno di essere italiana e mi chiedo che cosa possiamo fare noi cristiani davanti a queste tragedie. Forse potremmo cominciare a riscoprire il principio di solidarietà, che in conformità al sommo comandamento di Cristo, ci spinga ad amare l’altro, lo straniero, come noi stessi.
Giovanna Vergnano - Chieri
Gentile e cara signora Giovanna, grazie per il suo apprezzamento e, soprattutto, per la sua cristiana passione. Il ministro Minniti, domenica 3 settembre, in un incontro pubblico ha assicurato che le agenzie dell’Onu, a partire da quelle che si occupano di migrazioni (Oim) e di rifugiati (Acnur), sono finalmente in condizioni di verificare ciò che accade in quelli che lei giustamente chiama i «lager libici». È una buona notizia, attesa anche da chi, come noi, si batte da anni perché Onu e Ue possano prendere (e cambiare) la gestione dei campi profughi in Libia. «Ci metto la faccia», ha poi detto Minniti, senza giri di parole. Un modo forte per far capire che d’ora in avanti saranno davvero garantiti i livelli minimi di umanità e civiltà per profughi oggi detenuti e domani forse solo “trattenuti” nel Paese nordafricano. Parlava di “campi” e persone ufficialmente “censite” e “internate” per delitto di immigrazione, il ministro dell’Interno italiano. E sono certo che la sua intenzione è seria. Ma la realtà ci insegue e ci sconvolge. Chi mai controlla e controllerà gli altri “lager”, quelli semiufficiali o del tutto “privati” gestiti da questo o quel signore della guerra e organizzatore di sporchi traffici? Chi metterà la faccia, insomma, per i luoghi di arbitrio e di violenza governati dai capibanda che Nello Scavo racconta nei reportage dalla Libia che stiamo pubblicando in questi primi giorni di settembre? Eccola, cara amica, la domanda che non lascia in pace me, lei e chiun- que abbia dato anche solo uno “sguardo di carta” su quegli agghiaccianti abissi di sopraffazione e di dolore.