sabato 15 gennaio 2011
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Era già santo in vita. O almeno, era la radicalità stessa della sua testimonianza evangelica, l’abbandonarsi totalmente nelle mani del Signore, l’ansia missionaria, la capacità profetica di leggere i segni della presenza divina nella storia, e anche la sua umanità, la serenità e il coraggio nell’affrontare le prove più tragiche, ecco, era tutto questo che dava in Karol Wojtyla la sensazione di un’esistenza rivolta – come diceva Madre Teresa della santità – a fare ogni giorno la volontà di Dio.L’amore per Cristo, in Lui, era amore per ogni donna e ogni uomo, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dal rango sociale, dal credo religioso. «L’altro mi appartiene», aveva scritto. E anche molti non cristiani, e perfino non credenti, si convinsero che il modo in cui aveva sopportato le tremende sofferenze ed era andato incontro alla morte era inscritto in un disegno superiore, e comunque non spiegabile in termini umani.E adesso, finalmente, c’è il sigillo ufficiale della Chiesa sulla esemplarità evangelica dell’avventura umana e spirituale di Karol Wojtyla. Benedetto XVI ha messo la parola fine all’iter processuale – ultimato in tempi record, ma senza forzature – e il 1° maggio si terrà in piazza San Pietro il rito di beatificazione. È il primo passo verso un riconoscimento definitivo della santità. Ma è un passo decisivo. Tanto più che, per come si svolgerà, a Roma, nel centro della cattolicità, e presieduta dal Pontefice, la cerimonia servirà a rilanciare universalmente la grande eredità lasciata da Giovanni Paolo II.E non si poteva scegliere una data migliore. Quest’anno il 1° maggio, prima domenica dopo Pasqua, cade la festività della Divina Misericordia, che lo stesso Wojtyla aveva istituito ispirandosi alle profezie di suor Faustina Kowalska. Ebbene, morto alla vigilia di questa festa, Giovanni Paolo II sarà beatificato nella stessa ricorrenza liturgica. Dunque, sempre sotto il segno della Misericordia divina, che lui vedeva come fondamento del rispetto della dignità dell’uomo. E c’è qui il senso profondo del “mistero” che la sua vita ha rappresentato, in una straordinaria sintesi tra esperienza di Dio e scelta per l’uomo.È stato infatti il Papa dell’Incarnazione, strumento e interprete della paternità divina. Ha plasmato una Chiesa più spirituale, più centrata sulla parola di Dio, più laicale, ecumenica, meno moralistica, meno legata ai poteri temporali. Ha prospettato un nuovo modo di vivere oggi da cristiani. È stato il Papa che, avendo conosciuto l’orrore delle guerre, dei totalitarismi, e della Shoah, ha difeso la causa dell’uomo e i suoi diritti con una tale forza e una tale passione da rischiare di essere ucciso. Il Papa che è stato presente in ogni frammento, grande o piccolo che fosse, della storia tormentata, contraddittoria, dell’umanità contemporanea. Il Papa che ha spinto le altre Chiese e le altre religioni a ritrovare la loro vera natura, cioè ad essere costruttrici di pace.Giovanni Paolo II, così, ha contribuito, a buttare giù muri ideologici, politici e anche confessionali. E se non tutte le imprese sono riuscite, ha comunque spalancato porte che erano ermeticamente chiuse; ha avviato dialoghi tra chi neppure si parlava; ha saputo riaccostare le nuove generazioni a un’esperienza religiosa. Insomma, ha portato in giro per il mondo il suo incoraggiamento evangelico, «Non abbiate paura!». Ma non è questo il momento dei bilanci. È il momento del ricordo, della gioia, della preghiera. Ognuno potrà vivere questo momento nel suo cuore, attraverso l’esperienza spirituale che Karol Wojtyla lo ha aiutato a fare, nel ritrovare Dio. E quindi, nel riscoprire la grandezza del proprio essere uomo, il significato profondo del proprio agire morale.Ed è un augurio che vorremmo rivolgere anche a quanti, il 1° maggio, parteciperanno a un’altra festa, la Festa del Lavoro, in un’altra piazza di Roma, a S. Giovanni. L’augurio, cioè, di riservare un pensiero riconoscente a un Papa che non solo ha conosciuto personalmente la fatica del lavoro; ma ha contribuito a far sì che un certo mondo del lavoro ritrovasse la propria dignità, al di là delle ideologie che per tanto tempo ne avevano offuscato le idealità originarie.
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