Ciò che sta cambiando (e più dovrà) nel cammino fraterno dei credenti
venerdì 22 febbraio 2019

Caro direttore,
concluso il viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti, e letti i commenti vari a questo storico viaggio, mi permetto anch’io qualche domanda. La prima è legata a quanto scritto da Stefania Falasca ('Avvenire', 6 febbraio 2019): è veramente caduto il tabù dell’islam impermeabile alle riforme? Basta la bellissima (e sincera) esortazione di al-Tayyeb, grande imam della massima ' cattedra' sunnita, al- Azhar, a considerare come fratelli i cristiani? Lo chiedo perché, a quanto ne so, il Corano rimane comunque «immodificabile» in ogni parola, anche là dove condanna a morte tutti gli 'infedeli', cioè i non islamici. Cristiani compresi. Le poche ma ahimè immodificabili parole di morte che stanno nel Corano sono quelle a cui si rifà qualunque terrorista islamico nel fare attentati. Lo sanno certamente il Papa e al-Tayyeb, lo sapevano anche al loro incontro in Egitto di due anni fa concluso da solenni dichiarazioni; non posso però dimenticare che un mese dopo le dichiarazioni un attentato dei Fratelli Musulmani fece morire alcune decine di copti, cioè cristiani d’Egitto. Immagino che il Papa voglia avvicinare l’islam con parole e gesti di pace, non di guerra, e constato come abbia trovato nel grande imam di al-Azhar forse il miglior interlocutore su questa strada. Strada lunga però, e difficile, anche perché nel documento finale uscito dagli Emirati si dice – come riferisce Falasca – che il terrorismo non è dovuto alla religione, ma a una lunga sequenza di interpretazioni errate dei testi religiosi. Chiedo: è così? Chi deve correggere le interpretazioni errate? Chi riesce a correggere l’«immodificabile» Corano? Perché 14 secoli dopo Maometto e 8 dopo l’incontro di san Francesco d’Assisi col Sultano siamo ancora a questo punto?

Franco Grilli Mirandola (Mo)

Non ho risposte facili, caro signor Grilli. Ma ho speranza e dedizione alla causa della «pace in terra agli uomini e alle donne amati dal Signore ». Le idee camminano sulle nostre gambe, caro amico. Tutte le idee: piccole, grandi e immense. Anche quelle che le nostre povere parole stentano a contenere. Per questo, noi cristiani, ci affidiamo alla Parola che si è fatta carne contenendo meravigliosamente tutta la nostra umanità e tutta la grandezza di Dio. Per questo cerchiamo con sempre più determinazione, guidati dall’esempio e dal saldo magistero dei grandi Papi che il Signore ci ha donato dal Concilio a oggi, parole comuni e condivisi gesti di fraternità con coloro che credono in modo diverso dal nostro, musulmani compresi. E le cerchiamo vedendo sia tutto il bene che viene fatto per buona fede, sia tutto il male che viene compiuto osando proclamarlo bene e arrivando addirittura a invocare il nome di Dio per perseguitare uomini e donne che sono per tutti fratelli e sorelle in umanità e, il più delle volte, hanno l’unica 'colpa' di aver incontrato Gesù Cristo e di seguirlo, riconoscendolo vero Dio e vero uomo. Cerchiamo con speranza, dunque, e con dolente realismo. Nessuno può imporre a nessuno di non amare i propri testi sacri e nessuno può pretendere di cambiarli, ma possiamo e dobbiamo essere capaci di custodire e, se necessario, di educare, cioè di cambiare, i nostri occhi e il nostro cuore per accostarci a quegli stessi testi con rispetto e pacifica e pacificata umiltà. Accade, deve accadere di più. Se chi crede in Dio non è uomo e donna di fraternità, di giustizia e di pace, come ci potrà mai essere un’umanità in pace? Credo del resto che pure lei, come me, sappia che anche la teologia coranica è raffinata e che solo i folli e gli assassini usano il testo sacro dell’islam per armare il proprio odio e persino il proprio coltello. Lo credo così come credo che sia giusto provare stima e gratitudine per uomini di Dio come il grande imam di al-Azhar, al-Tayyeb, per il coraggio dei gesti di fede e di pace che sta compiendo, per la ripetuta disponibilità all’incontro fraterno con papa Francesco, e per la chiarezza della predicazione contro la violenza fondamentalista al cospetto di quella variegata realtà islamico sunnita che riconosce in lui una voce autorevolissima e forse la più alta. Siamo a questo, in realtà, 14 secoli dopo Maometto e 8 secoli dopo l’incontro tra san Francesco e il Sultano. È un segno dei tempi, che non arriva per caso e che non può essere letto con sufficienza. È un dono, da far fruttare, della Provvidenza. Certo, c’è ancora tanta strada da fare, ma è almeno altrettanto vero che, dal 1986 del primo incontro di Assisi voluto san Giovanni Paolo II a oggi, e con più intensità in questi ultimi anni sotto la spinta lungimirante di Benedetto XVI e ora di Francesco, passi saggi e coraggiosi sono stati generosamente fatti. Non da tutti, ma da tanti. E soprattutto da testimoni credibili, maestri nel mostrare al mondo che cosa possono fare gli occhi e le mani dei giusti posati e impegnati sui testi sacri e per la vita dell’umanità.

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