sabato 25 giugno 2022
Non c’è più l’esercito immenso dell’Urss. È rimasto però un arsenale inesauribile di artiglieria, che continuerà a martellare il Donbass, senza preoccuparsi delle vittime
Il presidente russo Vladimir Putin fra i soldati dell'Armata rossa

Il presidente russo Vladimir Putin fra i soldati dell'Armata rossa - Ansa / Kremlin Pool / Sputnik

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Da quattro mesi il tulipano nero volteggia sul Donbass. Così negli anni 80 del Novecento i soldati dell’Armata Rossa chiamavano gli Antonov che li avrebbero riportati in patria dall’Afghanistan, morti, e non importava che fossero ucraini o russi. Nelle ultime settimane l’offensiva russa sta martellando ogni villaggio, ogni singolo incrocio, ogni ponte nell’est dell’Ucraina e, chilometro dopo chilometro, sta mangiandosi gli ultimi lembi del Donbass. A Severodonetsk gli ultimi difensori hanno lasciato i sotterranei di un’altra fabbrica Azov in cui si erano nascosti. La speranza per loro non ha ali per volare oltre il fiume che li separa da Lysychansk, la prossima vittima. Poi toccherà ad Andreyevka, Sloviansk, Bakhnur e quindi a Kramatorsk e poi, forse, a Odessa. È una mietitrebbia che nell’estate ucraina falcia vite, non grano. Si fermerà? E quando? La risposta è semplice quanto cruda: durerà finché russi e ucraini capiranno che sparando non potranno ottenere di più. Fino al momento di reciproca consapevolezza è illusorio sperare che sanzioni, armi, pressioni e minacce fermeranno il massacro.

Per ora dunque sono gli eserciti a parlare. Di quello russo, almeno all’inizio, avevamo tutti capito ben poco. Tuttavia per noi europei d’Occidente, che abbiamo scelto di sostenere le ragioni di una nazione aggredita, guardarlo da vicino aumenta la consapevolezza e, forse, può contribuire ad abbreviare la guerra. Da settimane si discute infatti sull’invio di armi, munizioni ed equipaggiamenti ai difensori, e in gran parte lo si fa mantenendo la discussione sul piano morale. Pochi gli sforzi che, almeno nel pubblico dibattito, si fanno per comprendere che cosa davvero serve all’Ucraina e che cosa invece ha il solo scopo di tacitare le nostre coscienze, incattivire l’avversario e contribuire a proseguire la guerra. Per oltre settant’anni, l’Occidente è stato prigioniero della visione di milioni di uomini e di migliaia di carri armati lanciati da Est sulle pianure del Nord Europa. Eppure, quello che oggi si batte in Ucraina orientale è un esercito che ben poco ha in comune con l’Armata Rossa che minacciava di spezzarci in due. Prima di tutto è molto più piccolo. Nel 2008, anno in cui Putin avviò la sua grande riforma dello strumento militare, l’esercito russo contava circa 1.800 unità da combattimento, vale a dire reparti composti da circa 700 uomini. Do- po la riforma il numero era sceso a poco meno di 200. Il modello 2008 puntava sulla professionalizzazione, tuttavia malgrado i concreti sforzi del governo, i giovani russi non hanno risposto con entusiasmo. Si è dovuto così ricorrere ancora alla leva.

A questo esercito è stato chiesto non solo di combattere in Cecenia, in Georgia e in Siria, ma anche di garantire il controllo di Mosca su un territorio di oltre 17 milioni di chilometri quadrati e su regioni che si pecca d’ottimismo a definire turbolente. A prezzo di sacrifici dolorosi, il Cremlino ha però mantenuto in efficienza la sua triade nucleare, composta da missili balistici intercontinentali, bombardieri strategici e sottomarini nucleari lanciamissili. Tutto questo a scapito dei materiali convenzionali. L’ammodernamento e lo sviluppo di artiglierie semoventi, armi leggere, carri armati, sistemi di comando e controllo, per non parlare della Marina da guerra, hanno stentato a decollare, e quanto di 'efficace' veniva prodotto prendeva la via del mercato estero. In gergo militare, quando si parla di mummificaziones’intende un mettere da parte mezzi ed armi per i tempi difficili, e proprio questa è stata la sorte toccata a gran parte dell’immenso parco veicoli della ex-Armata Rossa, da dove sono stati resuscitati anche alcuni dei carri armati che vediamo oggi sulle strade di Ucraina. Dei nuovissimi T 14 'Armata' come dei veicoli corazzati per la fanteria neppure l’ombra. Un esercito con pochi uomini e mezzi logori, dunque? Non proprio, c’è infatti un fattore che rende l’esercito di Mosca comunque temibile. I numeri di alcuni armamenti. Non si parla dei moderni missili o delle bombe a guida laser, ma delle tradizionali granate di artiglieria stile Seconda guerra mondiale. La loro disponibilità rende il consumo di materiali ancora accettabile. Quello che per Mosca non è accettabile è invece la perdita di soldati, e purtroppo non motivi morali, ma perché non ne ha abbastanza

A differenza degli eserciti della Nato, che hanno al primo posto la salvaguardia del personale, per i russi ad essere prioritario è il raggiungimento dell’obiettivo; quasi costi quel che costi. O quasi. Ecco spiegato l’enorme ricorso al fuoco di artiglieria che sta sbriciolando città e villaggi in Ucraina. I russi hanno un artiglieria potente, numerosa e un numero di munizioni quasi inesauribile. Perché dunque continuare a sacrificare giovani equipaggi, carri e plotoni di fanti quando si possono martellare i difensori per giorni? Rispetto ai primi giorni dell’invasione, questa è dunque una del- le prime differenze che salta all’occhio: l’ampio ricorso al fuoco e reparti di fanteria sempre più piccoli e mobili, sul modello adottato proprio dall’esercito ucraino. Altro elemento da tenere in considerazione è la completa ridefinizione della catena di comando. L’iniziale incertezza, con i generali in diretto collegamento con il Cremlino ma non tra di loro, è ormai superata con l’arrivo del generale Dvornikov come comandante in teatro. Dvornikov non è certo un genio napoleonico, ma è ufficiale di grande esperienza, carisma e, soprattutto, un freddo ed eccellente organizzatore. La sua mano si riconosce nella metodica condotta dell’attuale offensiva che sembra prefiggersi obiettivi più realistici e raggiungibili, eventualmente spendibili sul tavolo delle inevitabili trattative. Cosa c’è da aspettarsi dunque per il futuro? Con ogni probabilità il proseguimento di questa tattica di combattimento che lentamente sta dando frutti, mettendo in crisi la difesa ucraina.

Ciò che questa guerra ha, infine, messo in evidenza è come noi non riusciamo a liberarci da un preconcetto culturale secondo il quale i russi stanno sbagliando solo perché non fanno come faremmo noi. Ci siamo dimenticati che neppure i vietcong o i terroristi del Daesh-Isis si battevano 'come noi', ma non per questo sono stati meno temibili. Un popolo parla, scrive, sente e, purtroppo, combatte a suo modo e i russi ci stanno ricordando proprio questo. Qualche esempio? Noi crediamo che una guerra senza avere la supremazia aerea non si possa neppure avviare, mentre per i russi l’aeronautica è poco più di una artiglieria volante. Noi guardiamo al pericolo di uno sbarco dal mare su Odessa, ma ci dimentichiamo che la Federazione russa non ha i marines americani e non è in grado di svolgere un’operazione anfibia su larga scala. Tutt’altro discorso, ben inteso, è arrivare a Odessa via terra. Se si vuol contribuire a far finire questa guerra, occorre che si guardi con realismo a questo esercito che della tenacia e della sopportazione ha sempre fatto le sue armi più temibili. Anche se il tulipano nero continua a volteggiare sui cieli d’Ucraina.

Analista e docente, già generale dell’Esercito italiano

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