sabato 3 maggio 2014
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Caro direttore,
l’episodio degli applausi ai poliziotti condannati presenti al congresso Sap mi ha rattristato molto perché ha gettato il discredito su quanti (e sono la stragrande maggioranza) vestendo la divisa di poliziotto fanno il proprio dovere con umanità, umiltà ed equilibrio, rischiando in prima persona la propria vita al servizio della sicurezza delle persone, malpagati e spesso oggetto di dileggio da parte di quanti perseguono la sovversione, il disordine  e il malaffare.
Ritengo che sia molto importante una selezione sempre più attenta e severa oltre a una istruzione professionale specifica approfondita, con un riconoscimento economico più adeguato, mentre al contrario le Forze dell’Ordine non mi sembra vengano molto considerate sotto questi aspetti da parte dei politici di turno. I superiori dovrebbero essere sempre molto attenti ai comportamenti del personale alle loro dipendenze, perché fare il tutore dell’ordine è un compito e un servizio alla comunità molto difficile e gravoso. Tanti anni fa, al tempo delle prime tragiche azioni delle Brigate Rosse, ero sottotenente presso la Scuola di Artiglieria controaerea di stanza a  Sabaudia. Eravamo la forza armata più consistente presente nella zona e mi è capitato di essere allarmato per andare in servizio di ordine pubblico. Mi ricordo molto bene che il mio comandante di Gruppo, maggiore Bonanni, sceglieva accuratamente ufficiali e sottufficiali da inserire, con compiti di comando, nella formazione che doveva espletare questo gravoso servizio, lasciando in caserma quanti avevano manifestato opinioni e comportamenti politicamente estremisti e mancanza di autocontrollo. Tutto ciò perché si riteneva fondamentale evitare di innescare manifestazioni violente e di prevaricazione, cosa purtroppo che abbiamo visto verificarsi anche recentemente. Purtroppo è molto difficile contrastare la violenza di quanti perseguono la sovversione e il disordine ad ogni costo senza perdere l’autocontrollo, l’equilibrio ed il senso della misura negli interventi. Però tantissimi agenti e ufficiali hanno dimostrato di possedere queste qualità. Pertanto a maggior ragione devono essere isolati e estromessi quanti non sono in grado di garantire un comportamento esemplare. Non è giusto che per pochi che deviano, le nostre Forze dell’Ordine non debbano avere la stima e la fiducia di tutti. Nella mia vita ho avuto modo di conoscere e collaborare, in circostanze anche gravi, con esponenti delle Forze dell’Ordine degni di grande stima e fiducia. Il loro ricordo mi fa ritrovare la serenità e vincere la tristezza provata.
Carlo Maria Pagliari (il solito nonno)
La chiave della sua riflessione mi pare che si condensi, caro e gentile signor Pagliari, in una parola: memoria. È la memoria di fatti e di persone che aiuta lei a ritrovare serenità e fiducia. È la memoria, dolente e giustamente indignata, che può e deve aiutare l’intera comunità nazionale e l’istituzione coinvolta – la Polizia di Stato, nel caso da lei citato che riconduce alla tragica e violenta morte di Federico Aldrovandi; l’Arma dei Carabinieri, nel caso altrettanto drammatico e ancora aperto di Riccardo Magherini – a riannodare i fili di una “prossimità” buona e felice tra tutori dell’ordine e cittadini e di una confidenza sicura nella giusta forza posta al servizio della convivenza civile. Perché non si possono chiudere gli occhi, e il male si cura solo col bene, cioè vincendolo e riparando, per quanto umanamente possibile, al danno e al dolore che ha provocato. E qui, aggiungo, emerge l’altra parola da tener cara, carissima: legalità. Ed è naturale perché è anche la memoria (memoria degli uomini e delle donne che l’hanno affermata e difesa, delle vittime dei fuorilegge, delle sconfitte subite e delle vittorie conquistate...) che costruisce una salda legalità. Lo ripeto, ancora una volta, nel modo spero più semplice e diretto: la legge non è (e non può mai diventare) il manganello che intimidisce e addirittura prevarica, è (deve essere) l’arma disciplinata – e perciò davvero pacifica – che difende le persone normali e ancor di più le persone deboli dall’arbitrio di chi – in molti modi – pratica la prepotenza: criminali, speculatori, arroganti. Categorie che possono annidarsi anche tra le fila dei difensori della legge, perché dove c’è il bene là cerca sempre di annidarsi il male. Ma non ha ragione e non può averla. E la legalità si afferma non solo con la forza e il coraggio della giustizia, ma anche e soprattutto con l’esemplarità dei comportamenti. Che non sempre portano applausi a scena aperta, ma sono gli unici a meritarli.
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