Cerciello e i suoi, don Mazzolari e noi
mercoledì 31 luglio 2019

L’orrendo omicidio del carabiniere Mario Cerciello ha sconvolto l’Italia. In tutti i sensi. A Somma Vesuviana eravamo in tanti per il suo funerale. Parole di odio dai suoi concittadini non ne ho sentite; nemmeno una. Sarebbero state del tutto fuori luogo. Il dolore, sì, ed era grande. Si avvertiva nell’aria, si leggeva sui visi commossi delle persone; nelle lacrime che non si potevano contare. C’era bisogno di conforto, abbracci, preghiera. Per l’odio, a Somma, non c’è stato posto.

Sarebbe servito solo ad attizzare il fuoco dell’angoscia. Alla Messa celebrata in suo suffragio c’era l’Italia intera. Come sempre ci siamo ritrovati piccoli di fronte al mistero della morte. E tutti uguali. E uniti. Autorità e gente semplice, cittadini di Somma e gente venuta da ogni dove, forze dell’ordine, vescovi, preti.

Mi è ritornata in mente un’omelia funebre di don Mazzolari: «Voi accendete fiammelle sulla mia tomba e per me mormorate una preghiera, io accendo in voi un tremolìo di immortalità, non soffiatevi sopra, non tentate di spegnerlo, è il mio regalo per voi. È la mia parola che oggi diventa sacra». Mario, il carabiniere credente, con la sua morte, ci ha regalato la sua ultima parola, la parola che diventa sacra. Fine della Messa. La bara avvolta nel tricolore si allontana.

Resto a guardarla fino a quando non scompare all’orizzonte. La folla si dirada. È tardi. Siamo affaticati, sudati, assetati. Ognuno riprende la sua strada, Somma ripiomba nella sua quotidianità. Ancora qualche giorno e anche Rosa Maria, la sposa, come la mamma e i fratelli di Mario dovranno farsi coraggio per ricominciare a vivere.

Non sarà facile. Avranno bisogno, questi cari, di tanta forza. Per tutta la durata della Messa non ho smesso di fissare Rosa Maria, il posto che occupavo sul presbiterio si trovava proprio di fronte a lei. Abbracciava la foto del marito, la accarezzava, la baciava. Bella, giovane, una professionista e una donna che già pregustava la gioia di un figlio tra le braccia. Invece. Mario è stato ucciso. Barbaramente. Inutilmente. Da un assassino quasi imberbe. Un assassino improvvisato. Un uomo poco più che un ragazzo. E la ricca giovinezza, il girare per il mondo, la buona salute, la giovanissima età non sono bastati per farlo stare bene. No, come tanti altri, purtroppo, aveva assaporato la droga e ne era rimasto prigioniero. La maledetta droga, scaltra, viscida, velenosa come un serpente a sonagli. La micidiale droga che tiene in ostaggio milioni di persone ingannandole con un piacere effimero che presto getta la sua maschera e si trasforma in malattie, dolore, morte anche per chi dalla droga si è tenuto alla larga. Incredibile.

Infierire sull’assassino? A che serve? Attizzare il fuoco dell’odio? Che cosa toglie al dolore che ci affligge e alla sete di giustizia che ci divora? Riempire di bestemmie, parolacce, maledizioni il web e certe pagine di giornali? A che pro? Chi ha ucciso Mario, il gigante buono, sarà processato e condannato. Senza sconti. La condanna deve essere certa con la speranza che possano riprendere il cammino della vita dopo averla scontata.

Le luci su Somma stanno per spegnersi. Rimane l’amarezza di una vita spezzata e di tante vite stravolte dal dolore. Ma anche per le vite sprecate di questi giovani e sanguinari ragazzi d’Occidente, e di tanti altri come loro. Che peccato. Se solo avessero potuto conoscerlo, Mario, il carabiniere credente. Se solo avessero potuto parlargli, avrebbero potuto capire che la gioia vera non si trova nella droga e nei piaceri effimeri, ma nel dare alla propria vita un senso, nel mettersi al servizio dei fratelli più fragili, servendo la legge e i poveri, con fede.

Nessuno tenti di spegnere il tremolìo di immortalità che Mario ha acceso in tutti noi e persino nei suoi giovani assassini. La "banalità del male" che tanto ci ferisce, può essere sconfitta solo con la faticosa semina del bene che continua anche dopo la morte.

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