mercoledì 2 novembre 2011
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​Caro direttore,ho letto con interesse l’ultimo articolo dedicato all’emergenza carceraria (Avvenire, 29 ottobre) e penso che non si possa risolvere il problema del sovraffollamento con le amnistie o con lo svuota-carceri o altre idee simili. Mi pare che solo se si parte dai numeri esposti si possa trovare una soluzione. Il problema, infatti, è drammatico perché nelle nostri carceri ci sono persone che non dovrebbero esserci. Ci siamo ormai convinti che dobbiamo accogliere con generosa apertura qualche milione di stranieri che sono buoni lavoratori e anche imprenditori, ma non vedo perché si debba dare da bere, mangiare, dormire e guardare la televisione a 24.000 stranieri che sono venuti qui in Italia per delinquere. Teniamoci quelli onesti e trattiamoli bene, ma rispediamo al mittente chi delinque. Inoltre, sempre guardando le cifre esposte, se solo 37.000 carcerati su 67.000 scontano una condanna definitiva, è l’ennesima riprova della scarsa efficienza della macchina della giustizia che produce sentenze di mille pagine e invece di essere efficiente, produttiva e tempestiva, è solo logorroica. Alberto Monachesi, MilanoDi una cosa sono piuttosto sicuro, caro signor Monachesi: lei non è incline al pregiudizio e parla per puro buon senso. Lo stesso buon senso che dovrebbe farle intuire perché non si riesca quasi mai – usando le sue parole – a «rispedire al mittente» chi è venuto in Italia per delinquere ed è finito in gattabuia (ma il buon senso dovrebbe anche farla riflettere sulla categoria dei “poveri diavoli”, quelli che non sono venuti tra noi per compiere reati, ma – essendo approdati, o essendo stati spinti, ai margini della nostra società – finiscono nelle reti malavitose). Qui, però, mi vorrei concentrare soprattutto sulla testa e sulla coda del suo breve ragionamento. Le inefficienze della macchina giudiziaria sono un dato drammatico ed evidente. Mai se n’era parlato tanto come negli ultimi 18 anni, mai è stato fatto così poco per tentare seriamente di capovolgere una situazione semplicemente scandalosa. Uno scandalo da far finire non solo a motivato parere di cittadini (italiani e stranieri) stritolati da meccanismi d’inesorabile ed esasperante pesantezza e lentezza, ma anche per esplicita ammissione di tanti addetti ai lavori: magistrati, avvocati, funzionari, uomini e donne delle forze dell’ordine. Archiviata, si spera, la fase delle “leggine” (emotive o ad personam), siamo perciò tutti in impaziente attesa di quella delle riforme vere e incisive.E intanto? Ha senso il dibattito su amnistie e svuota–carceri? Lei pensa di no. Io credo che le amnistie siano strumenti possibili e utili se si è in grado di usarli, anche in situazioni tutt’altro che pacificate, con animo pacifico e con intenti generosi e trasparenti. Penso, in sostanza, che l’amnistia (che mai è mero “condono”) non possa essere un “passo indietro” dell’idea di giustizia, ma deve poterne essere il grado più alto e civile, persino sacro. Non un “passo indietro”, ripeto, ma anzi il risultato di valutazioni e decisioni che rappresentano un “passo avanti”, della giustizia e della politica. Una politica in grado di farsi carico di grandi difficoltà di sistema e di piccole ed essenziali vicende umane (traduco: del disumano affollamento delle patrie galere tanto quanto del teso esaurirsi di una stagione aspramente e lungamente conflittuale e dell’accalcarsi di sentimenti di sfiducia, rifiuto e disprezzo per le istituzioni e chi le abita). Una politica capace di leggere la realtà del Paese e di aiutare la comunità nazionale a girare pagina in un passaggio cruciale della sua storia, e decisa a farlo riformando nello stesso tempo radicalmente se stessa, le proprie forme e procedure, i meccanismi di selezione della rappresentanza, riequilibrando i rapporti tra i poteri dello Stato… In passato è accaduto. Potrebbe essere, questo che viviamo e pensiamo come il tramonto della cosiddetta Seconda Repubblica, un tempo buono per un gesto di tale forza, per un’amnistia che coroni onestamente una grande riforma? A essere sincero, non ne riesco a pensare uno migliore e, nello stesso tempo, mi rendo conto che è difficilissimo. Manca sempre tempo per avviare un simile tempo… E si ha troppa paura di fare un regalo all’avversario – che si chiami, faccio due esempi emblematici, Silvio Berlusconi o Antonio Di Pietro – e alle rinascenti correnti del qualunquismo contropolitico. Tuttavia non perdo la speranza. E continuo a ripetere che chi siede nel Governo e in Parlamento è chiamato adesso, non domani o dopodomani, alla prova della responsabilità, del disinteresse e del coraggio.

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