lunedì 14 gennaio 2013
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Era scontato che l’Imu diventasse un argomento forte della campagna elettorale. Ma il fatto che l’imposta sugli immobili sia entrata nel dibattito di oggi così presto e in modo così totalizzante è probabilmente un indice di quel populismo che continua purtroppo a caratterizzare molta della politica. Italiana, ma non solo – va detto – conseguenza di una crisi che spinge un po’ ovunque gli schieramenti a cavalcare temi e battaglie che poco hanno a che vedere con i veri problemi delle persone e delle famiglie. L’Imu in realtà è questione molto concreta: è una patrimoniale di fatto, tassa le proprietà immobiliari di tutti, in modo indirettamente progressivo, ma con modalità che non sempre rispondono a criteri di equilibrio ed equità. È chiaro che il prossimo governo dovrà metterci mano, incominciando ad affrontare quella riforma del catasto che l’ultimo Parlamento ha preferito evitare. Da qui, però, a voler seppellire l’Imu, o promettere di toglierla solo a metà degli italiani, diciamo che di strada ne corre. È veramente possibile dire addio a una tassa che ha fruttato alle case pubbliche quasi 24 miliardi di euro, 4 dalle sole prime case, nel momento in cui circolano voci circa la necessità di una manovra correttiva da 5-7 miliardi da varare come prima azione del futuro governo? Non è però questo il punto. L’Imu è diventata una sorta di totem, un argomento di facile presa e di largo consenso, grazie al quale attirare l’attenzione senza affrontare veramente la questione fiscale nel suo complesso. Per essere chiari: il problema di tutti noi, non è quanta Imu ci tocca, ma quante tasse paghiamo complessivamente. La crisi ha fatto esplodere una moltitudine di problemi che richiedono di essere affrontati subito anche ricorrendo alla leva fiscale. Nuove povertà, nuclei monoreddito, famiglie con figli sempre più in difficoltà, giovani senza lavoro. Sono molte le strade possibili per riequilibrare il sistema tributario intervenendo sui bisogni che si ritengono più urgenti: si può rimodulare l’Irpef tenendo conto dei carichi familiari attraverso lo strumento del "quoziente", giacché è paradossale essere tassati su un reddito di cui non si può strutturalmente disporre; si può intervenire sull’Irap, imposta pesantissima in Italia, per dare ossigeno alle imprese e aiutarle a resistere, crescere, o assumere; è possibile ovviamente intervenire sul costo del lavoro, se si ritiene di dover far crescere i salari anche a beneficio dei consumi. Si può fare di tutto, in un discorso razionale e coerente, orientato all’equità della tassazione e a favore della ripresa. A seconda delle priorità che ci si vuol dare. In un Paese ad altissima evasione fiscale come l’Italia, però, un’imposta sulla casa colpisce un bene concreto, visibile e che non è possibile occultare. Frena la tentazione dell’investimento a rendita. Può aiutare a riportare a livelli più razionali i valori immobiliari, costringendo a mettere sul mercato immobili che non ci si può più permettere. È l’unica imposta almeno parzialmente modulata sul numero di componenti del nucleo familiare. Anche sulla prima casa ha una sua ragione, e può facilmente essere neutralizzata scontandola a chi paga un mutuo o agendo sull’Irpef in base ai bisogni o al merito sociale. Ecco perché puntare sull’abolizione, totale o parziale, di un’imposta che richiede sì molta manutenzione, ma che ha tante ragioni di esistere, rischia di essere un modo facile per eludere il tema più serio e impegnativo della riforma fiscale. In un momento in cui si registra che più del 40% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese, non è annullando una tassa sulla proprietà immobiliare – il settore all’origine della crisi che stiamo vivendo – che si costruisce una prospettiva di fiducia e che si aprono prospettive sostenibili di sviluppo. Meglio sarebbe dire quali e quante tasse ridurre, a chi e perché, con i proventi di un’Imu rinnovata, piuttosto che inseguirsi in una competizione al ribasso su un argomento che riguarda soprattutto genitori e nonni, lasciando indifferenti tutti coloro ai quali il futuro continua a essere negato: giovani e bambini.
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