sabato 10 dicembre 2011
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In certi suoi vicoletti dove la vita non è poi così frenetica, l’usanza non sì mai perduta. In questi budelli di Napoli, dove una scia aromatica, come filo di Arianna olfattivo, ti porta diritto in un piccolo bar, senti ancora tra il clangore delle tazzine che si urtano, prima di riempirsi della calda bevanda scura, la voce di qualcuno che paga alla cassa due caffè lasciandone uno sospeso. Sospeso nel senso che il barista lo riserverà a chi, nel corso della giornata, pur avendone desiderio non avrebbe come pagarlo. A Napoli questo gesto non è mai stato un’elemosina, ma un piccolo segno di solidarietà e di comprensione verso uno sconosciuto: il "prossimo", in tutti i sensi, che sarebbe da lì a poco passato per lo stesso bar. Quando a Napoli era più declinata anche la solidarietà, il caffè sospeso era un’abitudine diffusa tanto che, se a sera avanzavano dei sospesi, la mattina dopo, il barista tirando su la saracinesca, con un cartello sulla porta teneva il conto: «Cinque caffè sospesi», sicché le tazzine di questa gentilezza arretrata erano a disposizione dei primi a richiederle. Come mai il caffè? Forse perché in determinate circostanze il caffè a Napoli, e forse anche altrove, è consolazione, conforto, comunanza, gratificazione, lenimento. Si pensi soltanto a tutte quelle tazze di caffè che girano nell’ultimo atto di Natale in Casa Cupiello tra i vicini e i parenti che sono al capezzale di Luca morente. Oggi Napoli, con ricche e fantasiose iniziative, celebra appunto la «Giornata del Caffè sospeso». In luoghi famosi della città si organizzano spettacoli, incontri, dibattiti e si prevedono, ovviamente, tanti caffè sospesi, per rispolverare una solidarietà che la città in più occasioni sembra aver dimenticato.Il caffè sospeso era ed è un gesto di vicinanza e di condivisione, ed è esattamente questo il messaggio che si vuole dare. In piccolo, e sotto forma di bevanda confortante e gratificante, in questi tempi che ci chiamano alla solidarietà, il caffè sospeso pare anche una metafora di partecipazione secondo la propria capacità contributiva. Se tutti quelli che possono, avessero lasciato di questi sospesi, probabilmente, l’Italia non si sarebbe trovata sull’orlo del precipizio. Chi dà secondo le proprie capacità, in primo luogo, ammette e riconosce che esiste il povero, una persona che non può. Si parte (o si riparte) dal caffè e già gli ideatori della Giornata aprono altre possibilità di lasciare cose sospese. Offrono spazi culturali liberi per una condivisione di esperienze sociali in un territorio che non è certo facile.Da decenni la città sembra aver smarrito quel senso della solidarietà e del mutuo soccorso del vicolo di cui il caffè sospeso è soltanto un labile ricordo. La mortificazione degli ultimi anni di vedersi vinti dai rifiuti ha fatto nascere in ogni napoletano un sentimento di abbandono. In questa tristezza ognuno ha ritenuto di essere sul punto di dover badare soltanto a se stesso, chiudendosi dunque agli altri, nel proprio egoismo. Nell’abbandono è nata la cultura del si salvi chi può. Eppure, Napoli storicamente si è sempre intessuta con le esperienze degli "altri". Questa volta gli 'altri' sono gli extracomunitari, ai quali, infatti, oggi sono stati lasciati molti caffè sospesi nei bar più frequentati della città.
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