C'è energia tra Biden e Bin Salman nel lento disgelo alla yemenita
venerdì 10 giugno 2022

In Yemen, il barometro della guerra segna tregua. E il viaggio del presidente americano Joe Biden in Arabia Saudita si avvicina. Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che lo Yemen sia al centro della visita a Riyadh che lo staff della Casa Bianca sta preparando. Certo, i sauditi sono i primi sponsor della tregua, dato il fallimento militare del loro intervento nel Paese. Però, sono i timori americani per la stabilità energetica mondiale e la crescente influenza della Cina nel Golfo ad avvicinare il faccia a faccia tra Biden e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (detto 'Mbs') Un incontro che fino a qualche mese fa sembrava appartenere al regno dell’improbabile.

La buona notizia è che la tregua nazionale in Yemen, mediata dall’Onu (rinnovata il 2 giugno per altri due mesi), ha retto, nonostante alcune violazioni. Tregua, quindi interruzione informale dei combattimenti, non ancora un formale cessate il fuoco. La ripresa dei negoziati politici tra forze governative e insorti houthi non c’è: i prossimi due mesi saranno decisivi. C’è intanto qualche risultato umanitario: dimezzamento di vittime e feriti civili, primi voli commerciali da Sanaa, rifornimenti di carburante al porto di Hodeida.

La tregua include anche i bombardamenti sauditi, nonché gli attacchi missilistici degli houthi contro il regno: è questa la (fragile) discontinuità politica che l’Amministrazione Usa può ora utilizzare per raccontare il prossimo viaggio a Riyadh. Una visita ancora invisa all’opinione pubblica interna, e soprattutto al Congresso. Fu infatti il candidato Biden, denunciando violazioni dei diritti umani e bombe in Yemen, a promettere che avrebbe trattato Riyadh come uno Stato 'paria' per poi diffondere, da presidente, il report Cia che indicava in Mohammed bin Salman il 'mandante' del brutale omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Pochi giorni fa, Biden ha invece lodato la «leadership coraggiosa » dell’Arabia Saudita sulla tregua in Yemen. In mezzo, c’è ovviamente la Realpolitik, resa ancor più realista dal binomio esplosivo tra approvvigionamenti energetici e inflazione, aggravatosi con l’invasione russa dell’Ucraina. Il ciclo della violenza in Yemen è declinante. Tuttavia, come la ricerca della pace, anche la violenza non segue percorsi lineari ma vive, piuttosto, di fiammate cicliche, come dimostrano Siria e Libia, gli altri due teatri decennali di crisi belliche scatenate dopo le 'primavere arabe'. In Yemen, la tregua ha fin qui tenuto perché gli interessi di attori yemeniti e sponsor regionali convergono sulla de-escalation. Il governo riconosciuto ha così bloccato l’offensiva degli houthi a Mareb, governatorato ricco di petrolio, dove gli houthi ora rifiatano e concentrano miliziani e armi per una possibile avanzata. L’Arabia Saudita ha intanto spinto il presidente yemenita Hadi a trasferire i poteri a un Consiglio che include i leader dei più influenti gruppi armati del Paese (esclusi, ovviamente, gli houthi) mentre l’Iran, che ancora tratta per riattivare l’accordo sul nucleare, non aveva interesse a mettersi di traverso. Con la tregua, tutti gli attori stanno quindi guadagnando tempo: come poi lo utilizzeranno è un’altra partita.

Intanto, Washington lavora al disgelo con Riyadh. Il leggero aumento della produzione petrolifera (seppur l’accordo 'Opec Plus' con la Russia tenga) è il segnale che Riyadh apprezza ma vuole di più, con un occhio all’Iran. «Non abbiamo problemi a rivolgerci ad altri mercati, la Cina per primo', ha detto Mohammed bin Salman in una recente intervista americana. Né i sauditi né gli emiratini rinunceranno alle redditizie alleanze multipolari con Cina e Russia, ma non possono chiudere la porta a Washington. Gli americani necessitano degli idrocarburi del Golfo affinché gli alleati europei si sgancino da Mosca: tuttavia, anche Riyadh ha bisogno, ancora, della protezione Usa e condivide gli Accordi di Abramo con Israele, ovvero la nascente architettura di sicurezza regionale, pur essendone formalmente fuori. Insomma, il riavvicinamento fra statunitensi e sauditi è realtà e passa anche per lo Yemen.

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