venerdì 28 aprile 2023
I venti di pace aprono alla necessità di riparare i danni del conflitto. Gli appetiti immobiliari hanno già preso di mira edifici che con 2.500 anni di storia sono sotto la tutela dell’Unesco
Molti edifici della città vecchia di Sana’a hanno 2.500 anni e sono patrimonio Unesco dal 1986

Molti edifici della città vecchia di Sana’a hanno 2.500 anni e sono patrimonio Unesco dal 1986 - Battaglia

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La delegazione omanita-saudita è arrivata a Sana’a con la pioggia. Sarà pure un segno di benedizione perfettamente in tema con la notizia della fine del conflitto, se la delegazione troverà un punto di incontro con la controparte Houthi, la milizia filo-iraniana che da otto anni controlla il Nord del Paese. Ma di fronte a una pace possibile, di cui devono essere ancora verificate e accettate tutte le condizioni, c’è un punto che preoccupa e mette d’accordo i cittadini yemeniti, gli esperti del patrimonio archeologico e alcuni rappresentanti delle organizzazioni internazionali: il tema della “ricostruzione” dei danni di guerra che fa temere per una città, la capitale del Nord, Sana’a, e altre strutture del Nord del Paese, vecchie migliaia di anni, quando si parli di “ricostruzione” e non di mantenimento, conservazione e restauro.

L'allarme è arrivato poco prima dell’inizio del Ramadan, il mese del digiuno sacro ai musulmani: in un manifesto diffuso in varie forme, fisicamente e on line, le autorità Houthi invitavano obbligatoriamente i proprietari dei negozi del suq della città vecchia – strutture rimaste intatte per 2.500 anni e diventate bene protetto dall’Unesco nel 1986 proprio per la loro unicità – ad abbandonare i loro negozi per consentire la “ricostruzione” dell’area nella quale le autorità locali avrebbero individuato le fondazioni di un mausoleo di uno dei fondatori dell’Islam sciita zaidita, Ali ibn Abu Thaleb. La richiesta è stata fatta con la giustificazione che la terra contesa è waaf, ossia proprietà immobiliare religiosa, non diversamente da quanto è avvenuto nel passato più antico o recente, con diverse motivazioni, alle città vecchie del Golfo, soprattutto in Arabia Saudita, a Riyadh e Jedda. Dopo alcune pressioni dell’Unesco e le vibranti proteste degli abitanti della città, la richiesta è rientrata. «Meglio sarebbe dire è stata congelata – spiega Marco Livadiotti, italo-yemenita, decoratore di interni e profondo conoscitore dello Yemen, avendoci vissuto per cinquanta anni, in quanto figlio del medico (italiano) dell’imam del Nord Yemen prima e del presidente del Paese poi –. La preoccupazione più grande è che le richieste sul tavolo della pace relative alla “ricostruzione” prevedano l’abbattimento di parti della città vecchia e diano il via a un business sulla ricostruzione che abbiamo visto spesso nel post-guerre in Medio Oriente».

Livadiotti, che prima della guerra ha restaurato una quarantina di case della città vecchia, mostra una giusta preoccupazione basata sul trend demografico: « Dallo scoppio del conflitto, i prezzi delle case ma soprattutto della terra nella città vecchia sono aumentati del 100% per piccole e medie superfici e del 50% per grandi superfici. Ci sono delle ragioni demografiche, legate alla forte urbanizzazione e alla crescita della popolazione. Con il boom demografico c’è dunque una forte richiesta di abitazioni e l’abbattimento di palazzi più vecchi potrebbe essere redditizio. Ciò che vale davvero è il terreno edificabile – anche più di un milione di euro a lotto – non il valore artistico o storico della struttura». Ecco perché, da diversi anni, molte strutture della città vecchia di Sana’a di proprietà di famiglie che la abitano storicamente versano nell’incuria più totale, anche se non sono mai state toccate da un bombardamento. Dei 3.742 palazzi-torre della città vecchia, protetti come bene Unesco, almeno 600 necessiterebbero di restauro, manutenzione costante, ricostruzione, soprattutto dopo le alluvioni dello scorso agosto che hanno fatto novanta morti e, in tutto il Paese, 30mila dispersi.

Anche in questi giorni di pioggia si sono verificati allagamenti e crolli. Le cause esterne sono ascrivibili al cambiamento climatico: i 32 gradi attuali di media nella stagione estiva e anche un notevole calo della temperatura in inverno, di due gradi e mezzo rispetto alla norma, così come le onde di polvere a cui è esposta Sana’a durante i mesi secchi, la danneggiano irreparabilmente. Hameed Ahmed al-Habbari se l’è vista brutta: «Quando è arrivata l’alluvione, il tetto è caduto al primo piano, al piano superiore e nella dependance esterna». Hameed si è iscritto all’organizzazione che riunisce tutti i proprietari della città vecchia di Sana’a. L’associazione promette sussidi per restaurare le case danneggiate e ricolloca temporaneamente le famiglie. Ma qualcosa è andato storto: « Hanno restaurato molte case ma hanno lasciato la nostra con le conseguenze della prima alluvione del 2017. Abbiamo implorato le autorità di aiutarci e filmato molte volte i danni. Siamo andati con le riprese al comitato. È venuto un canale yemenita e abbiamo parlato con i giornalisti ma non è successo niente. In ogni caso, non rinuncio alla mia casa». La percezione che si ha, sentendo parlare Hameed e gli altri residenti, è che le autorità non ritengano il restauro e la conservazione di questo patrimonio mondiale come una priorità. Il racconto di Ali Abdul Ahmed Wardah avvalora questa ipotesi.

La sua casa è messa peggio della precedente: un’intera ala della sua torre è inagibile. E Ali è diventato fortemente asmatico dopo il crollo. La sua nipotina, che lo assiste in una serie di attività da quel momento, guarda continuamente il soffitto della stanza dove il nonno è alloggiato: «Siamo stati svegli fino alle 4:45 e, quando stavamo per andare a dormire, abbiamo sentito l’impatto della piena. Sono uscito in strada a piedi nudi, ero coperto di fango. Gli ufficiali sono venuti qui da me dalla questura, dalla Protezione civile, dalla commissione provinciale e dalla polizia distrettuale. Mi hanno promesso che, se uscivo da casa perché è distrutta ai lati, non mi sarei dovuto preoccupare. Mi avrebbero dato l’affitto per una casa nuova, cibo e scuola gratuita per i miei figli. Erano promesse a vuoto». Ali ha aspettato la nuova sistemazione per alcune settimane dai parenti. Poi, ignorato dalle autorità locali, è tornato a vivere nella sua casa semi-distrutta che rischia di crollare da un momento all’altro. A sentire le autorità locali, però, non c’è da preoccuparsi. Almeno per quel che riguarda le abitazioni. Khaled Issa, ingegnere dell’Ente Generale per la Conservazione dei Monumenti Storici di Sana’a, fa sapere che «il comitato locale della città vecchia si prepara a una soluzione in due passaggi: istituire un’unità di risposta alle emergenze e ai disastri per scongiurare i rischi di catastrofi e ridurne l’impatto sugli edifici della città. In secondo luogo, attivare un progetto di rafforzamento del già esistente e presentarlo al Fondo Sociale per lo sviluppo dell’Unione Europea attraverso l’Organizzazione Mondiale dell’Unesco».

L'Unesco, da parte sua, non è riuscita a mettere pie de con una delegazione internazionale a Sana’a in tutti questi anni di guerra ma ha monitorato il sito con raccolta di dati e progetti “human centered” destinati ai locali. L’italiana Anna Paolini è stata Direttore Unesco e Rappresentante Paese per il Golfo e lo Yemen per diversi anni. Precisa: « Dal 2005 abbiamo lanciato il World Heritage Center in città e abbiamo acquisito una poderosa documentazione di base dall’università di Sana’a per fare una valutazione di rischio e definire le priorità. Durante la guerra, non potendo intervenire con delegazioni internazionali, abbiamo attivato un progetto di cash for work, favorendo giovani e donne locali a basso reddito, e spingendo per la manutenzione delle case della città vecchia realmente abitate. Di fatto, è a prima volta che è il concetto umanitario di cash for work è stato impiegato nella difesa di un patrimonio culturale Unesco. Speriamo fortemente nella fine delle ostilità».

Certamente non è stato fatto ancora abbastanza se Hameed Ahmed al-Habbari, residente della medina qadima di Sana’a da generazioni, punta il dito al cielo: « Il mio messaggio all’Unesco è di prendersi cura di tutta la vecchia Sana’a perché è un monumento storico unico nello Yemen e non esiste in nessun altro Paese. Noi non abbiamo soldi e non abbiamo nessuno che ci aiuti tranne Dio e chi ci dà voce». Intorno a lui è un trionfo di bacinelle, fango, malta, legni, intonaci scrostati, crollati, marciti.

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