sabato 30 giugno 2012
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Gentile direttore,
sono un ingegnere, padre di cinque figli, impiegato come responsabile di stabilimento in una azienda emiliana in seria crisi. Ho cominciato a leggere quasi per caso gli editoriali di Luigino Bruni su "Avvenire", rimanendo in qualche modo folgorato da uno di essi: "Creare torte" del 2 ottobre 2011.
Non solo mi è parso di una chiarezza esplicativa rara da rintracciare sui giornali di oggi, ma la differenziazione e la rispettiva definizione di imprenditore "tout court" e di speculatore, mi sono sembrate quanto mai adeguate e calzanti per il periodo tremendo che stiamo vivendo. Adeguate e calzanti quanto lontanissime dalla consapevolezza della grande maggioranza degli imprenditori stessi i quali, in virtù del fatto di essere genericamente tali (e non nel senso ben preciso dato da Bruni nell’articolo) si ritengono in diritto di giudicare tutto e tutti: ad esempio la classe politica (mediocre, certamente, ma non molto di più di quella imprenditoriale) o i lavoratori delle loro aziende, strumentalizzati finché si vuole da sindacalisti ideologici, ma non considerati mai risorsa o 'capitale', bensì solo ed esclusivamente costo da abbattere.
Un amministratore del Gruppo di cui facciamo parte, il giorno in cui gli feci notare che un nostro operaio tunisino non aveva più soldi per fare la spesa perché ci pagano gli stipendi in ritardo di due mesi e oltre, mi ha risposto: «Mah! Bisogna poi vedere come spendono i soldi quelli lì! Perché non sono molto capaci di risparmiare!».
Detto da chi tiene i conti di un Gruppo indebitato per milioni e milioni di euro con varie banche, assume veramente un che di grottesco! Dopo aver letto l’articolo "Creare torte", ho cominciato a seguire con costanza Bruni su "Avvenire" (e su "Il Sussidiario"), apprezzando, tra l’altro, le sue critiche non urlate, ma puntuali e documentate, alle attuali politiche economiche governative. Ho anche letto i libri del suo editorialista.
Prima, "Le nuove virtù del mercato" che ho trovato di una profondità e di una chiarezza espositiva impressionanti, con in moltissime parti sintonie quasi commoventi col mio vissuto e col mio pensiero. Poi, recentemente, "Benedetta economia". E conoscendo in modo diretto molte realtà nate dal 'carisma' di un fondatore, ne ho apprezzato la descrizione e l’esposizione dei rischi che tali realtà possono correre. La mia appartenenza a una Fraternità del tutto carismatica come quella di Comunione e liberazione, fondata da don Luigi Giussani, mi fa spesso essere molto critico nei confronti di opere nate dal carisma che vanno avanti dicendo: «Va tutto bene, perché tanto c’è il Movimento», oppure all’opposto, in nome dell’efficienza e della sopravvivenza, annullano o affievoliscono la spinta propulsiva carismatica da cui hanno avuto inizio. Il motivo per cui ho deciso di scrivere questa lettera è che, trovandomi in una situazione molto precaria dal punto di vista lavorativo, mi sono reso conto che gli scritti di Bruni, involontariamente prima, sempre più consapevolmente poi, mi hanno permesso di fare chiarezza sulla situazione economica, sugli approcci adeguati a essa, sul concetto stesso di lavoro. Ho ripreso in mano qualche pagina di interventi di tanti anni fa sul tema del lavoro di don Giussani, nei quali ho trovato non poche consonanze con quanto Bruni studia e propone. Ma il fatto più imprevisto che è accaduto, e mi scusi se ritengo Bruni e Avvenire co-responsabili, è che, mosso dal desiderio di vivere maggiormente da protagonista la vera 'agonia' della azienda per cui lavoro, aiutato da un amico della Fraternità e da un consulente aziendale 'di grido' che con gratuità si sono messi a mia disposizione, ho proposto ad alcuni operai dello stabilimento che dirigo e alla proprietà del Gruppo, di rilevare la nostra attività, scorporandola dal resto e di diventare imprenditori di noi stessi! La trattativa è ben avviata. Sono speranzoso, anche se la vertigine di diventare imprenditore a 43 anni con moglie e cinque figli è tanta.
Cordiali saluti
G. S.
 
Sono colpito dal suo racconto e ammirato della sua scelta, gentile amico (rispetto, per ovvie ragioni, la sua richiesta di non firmare per esteso questa lettera). E so che Luigino Bruni lo è anche più di me, unendo a questi sentimenti comuni una legittima soddisfazione personale per il contagio positivo provocato dal suo lavoro di economista. Un lavoro teso a fondare e radicare in modo sensato dal punto di vista valoriale, scientifico e gestionale un nuovo «umanesimo economico». Passa da qui, se c’è, e naturalmente c’è, una via d’uscita dal pantano popolato di bestie ottuse e feroci in cui siamo finiti e che chiamiamo 'crisi'. Sono contento che anche Avvenire, attraverso la penna di Bruni e magari con altre pagine utili a capire, giudicare e decidere, l’abbia aiutata a individuare questa via possibile e praticabile, scorgendo in fondo a essa una mèta buona per sé, la sua famiglia, i suoi compagni di lavoro e, in definitiva, per la comunità di cui è parte. Auguri caldi e sinceri, caro ingegnere: lucidità, coraggio e fede non le mancano, dunque forza! Una vera e buona impresa merita sempre di esser pensata, avviata e compiuta.
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