giovedì 28 gennaio 2016
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Meglio l’arte contemporanea, in certi casi. Se quella di inscatolare le statue dei Musei Capitolini fosse stata la trovata del provocatore di turno, infatti, a discuterne sarebbero soltanto gli addetti ai lavori. L’iniziativa, invece, è maturata nell’ambito della visita a Roma del presidente iraniano Rohani, perdendo in breve tempo i connotati di gaffe nostrana per trasformarsi in poco lusinghiero caso internazionale. Una cortesia per gli ospiti, si è cercato di minimizzare. Il presupposto, com’è noto, era che le raffigurazioni della plastica nudità di dee ed eroi avrebbe rischiato di turbare la delegazione musulmana: da qui la decisione di impacchettare gli antichi capolavori, che d’improvviso tornano a rivelarsi minacciosi.  Tornano, appunto, perché l’assimilazione del patrimonio classico all’interno della civitas cristiana non è avvenuta senza scosse, e sospetti di lascivia – quando non addirittura accuse di indecenza – non sono infrequenti nella letteratura patristica e medievale. Perfino in età rinascimentale, quando la riscoperta umanistica dell’antico sembra ormai un fatto compiuto, rimane spazio per incomprensioni clamorose, come dimostra la vicenda del povero Daniele da Volterra, il pittore passato alla storia con il poco lusinghiero epiteto di Braghettone per aver artisticamente censurato le figure troppo arditamente dipinte da Michelangelo nella Cappella Sistina.  Non è, per amor di verità, una prudenza o pruderie esclusivamente cattolica. Sono giustamente proverbiali gli scrupoli dell’Inghilterra vittoriana e anche nella più disinibita Francia ottocentesca non sono mancati i quadri capaci di suscitare scandalo. Quella delle immagini è sempre una questione delicata, tanto a livello sociale e politico quanto, a maggior ragione, in ambito religioso (quella sulla legittimità delle icone fu una delle dispute più incandescenti affrontate dalla teologia cristiana). Per quanto incresciosa, e resa ancor più imbarazzante dall’assenza di chiarezza sulla paternità della decisione, la vicenda dei Musei Capitolini non può dunque essere meccanicamente ridotta a una questione di identità da difendere e di sottomissione da evitare. Dell’identità occidentale fa parte anche la cautela nei confronti delle immagini, alle quali è sempre stata riconosciuta una funzione ben più che decorativa. Ben più che museale, potremmo dire. Se oggi al posto di un nudo vediamo semplicemente una statua, è perché abbiamo percorso un cammino differente rispetto a quello dell’islam. D’altro canto, le posizioni del mondo musulmano sull’argomento sono più sfaccettate e complesse di quanto l’iniziativa dell’anonimo Braghettino dei Musei Capitolini sembra presumere. Prendere per buona la propaganda del sedicente stato islamico – feroce nella pubblica distruzione dei reperti antichi quanto oculato nel commercio privato degli stessi – è un errore difficilmente perdonabile.  Nel momento in cui ci si confronta con l’altro, occorre anzitutto conoscere se stessi, altrimenti tutto finisce in caricatura, proprio come è accaduto l’altro giorno a Roma. E in gioco, a questo punto, non c’è una generica libertà di espressione (a proposito: che fine ha fatto il dibattito suscitato un anno fa dalla strage di 'Charlie Hebdo'?), né un’ancor più generica tutela del patrimonio artistico. Anche noi, nella nostra storia, abbiamo mostrato e abbiamo velato. Adesso, nel confronto con l’islam, dobbiamo ricordare a noi stessi che l’alternativa esiste. Scegliere, in questo come in altri contesti, è un atto di responsabilità e di libertà insieme. E per compierlo con onore il burocraticamente corretto, purtroppo, non sarà mai sufficiente.
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