martedì 4 ottobre 2011
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Incombe ancora il «delitto mediatico». I periodici diocesani non hanno affatto assorbito la batosta dello scorso anno dovuta all’improvviso aumento delle tariffe postali, e già si profila un’altra tagliola per le misere risorse di tante pubblicazioni locali. Mi riferisco alla drastica riduzione dei contributi all’editoria che per l’anno in corso (quelli che si incasseranno a dicembre 2012) si aggirano attorno al 50 per cento in meno rispetto a quelli del 2010.Si tratta di un vero e proprio salasso, che non riguarda solo i giornali d’ispirazione cattolica. A rischio ci sono decine e decine di giornali e migliaia di posti di lavoro. Fra questi si possono ricomprendere anche i 189 settimanali cattolici che compongono la Fisc, la Federazione nazionale che li rappresenta. Nessuno si nasconde la gravissima crisi economica in atto. Nessuno neppure desidera che si mantengano "privilegi", che peraltro suonerebbero del tutto stonati. È chiaro che tutti siamo chiamati a compiere sacrifici e a rinunciare a qualcosa di ciò che si aveva fino a poco tempo fa. Il fondo per l’editoria negli ultimi anni ha subìto una costante erosione, proprio per andare incontro ai bisogni di sobrietà e di rigore, da più parti giustamente invocati.L’opinione pubblica non tollera più che ci siano "caste" di favoriti. Non ammette distinzioni, e vede nei contributi statali un bersaglio da colpire. In questo clima diventa assai complicato riandare alle ragioni dei contributi per i giornali d’idee e del territorio. È bene ribadire che non si tratta di regalìe, ma di correttivi pensati per favorire il pluralismo informativo, quello invocato dall’articolo 21 della Costituzione. La legge di mercato, da sola, non è sufficiente per garantire a tutti una presenza nell’attuale panorama dei mass media. Le televisioni locali da mesi sono sul piede di guerra, mentre la carta stampata tira la cinghia da sempre.Anche la distribuzione delle risorse pubblicitarie, che oggi è tutta a vantaggio delle grandi emittenti nazionali, domanda un intervento correttivo. È chiaro che ciò non deve favorire chi approfitta di contributi pubblici, come da lungo tempo la Fisc va riaffermando, e come l’attualità pone con evidenza sotto i nostri occhi. D’altro canto, però, non si può cestinare tutto il sistema solo perché si è sotto la pressione dei tagli da realizzare. Già il fatto che da un paio di anni non esista più il "diritto soggettivo" pone gli editori in una situazione di estrema incertezza. In questa condizione risulta assai complicato stilare bilanci preventivi e programmare qualsiasi attività.Accanto al rigore occorre invocare anche l’equità: situazioni simili andrebbero trattate in eguale maniera. Queste storture vanno corrette, e se è vero che la platea dei beneficiari va di certo ridotta, come ha ricordato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per l’editoria Paolo Bonaiuti, è anche vero che occorrerà operare un certo riallineamento fra gli stessi beneficiari.Nel nostro Paese coabitano due livelli di informazione, entrambi importanti. Uno corrisponde ai grandi mass media (e un decente tasso di pluralismo è assicurato appunto dalla presenza dei "giornali d’idee"). L’altro, certamente vicino alla gente, è un circuito in grado di narrare ogni giorno le vicende dei nostri mille campanili. Penso e spero che nessuno voglia applicare il silenziatore a questa parte d’Italia, mettendo il "bavaglio" al territorio.
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