sabato 10 settembre 2016
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Sono i fantasmi del pomodoro. Ottocento fantasmi. Quattrocento minorenni. Nessuno li vede eppure ci sono, presenza preziosa per raccogliere l’«oro rosso», una delle eccellenze agroalimentari italiane. Sono i fantasmi della favela nostrana di Borgo Mezzanotte a Manfredonia, dei quali ieri Luca Liverani ha raccontato lo sfruttamento. Fantasmi come quelli del non lontano «gran ghetto» di Rignano Garganico o quelli che tra poco riempiranno baracche e catapecchie di Rosarno e dei quali torneremo a scrivere presto. Li accomuna la condizione. Ci sono, lavorano, sono sottopagati e sfruttati, vengono quasi sempre angariati da “caporali” anche italiani. Vivono, se questo è vivere, in condizioni disperate. Ancor più disperate per dei bambini, come accade ai rom bulgari di Manfredonia. Ma come si fa a non vederli?Ci commuoviamo, giustamente, per i viaggi della speranza sui barconi, ci indigniamo per i piccoli che non ce la fanno, per i tanti Aylan vittime dei trafficanti di esseri umani. Ma dopo? Lo sfruttamento a casa nostra, sui nostri campi? Non possiamo non vederlo. Anche perché c’è chi ci vede bene e fa male. Sono quegli imprenditori agricoli – ma sarebbe meglio chiamarli “prenditori” – che li pagano 25 euro al giorno per 10 e più ore di lavoro. E che lavoro! Piegati sotto il sole a riempire le cassette di “oro rosso”. Dicono, alcuni, per difendersi, che «solo così riescono a rientrarci». Ma è vero? E comunque con quali costi umani?Proprio ieri ci è capitato di leggere un lungo comunicato della Fai Cisl della provincia di Trento che ricorda come le tariffe per vendemmia e raccolta delle mele sia di 7,6 euro l’ora per otto ore al giorno, 9 per gli straordinari. Più del doppio dei fantasmi del pomodoro. Inoltre l’imprenditore è tenuto a fornire vitto e alloggio, trattenendo 2,3 euro al giorno per pernottamento e prima colazione, 2,5 per il pranzo e altrettanto per la cena. E i lavoratori hanno diritto alle indennità di malattia e infortuni. Si dirà che una cosa è Trento, e un’altra è Foggia. Ma Trento è Italia come Foggia, e parliamo sempre della nostra agricoltura. Non è tollerabile che i diritti dei lavoratori immigrati siano garantiti in alcune zone del Paese e in altre no. Non ci può essere il rispetto dei diritti a macchia di leopardo. Non ci possono essere più Italie dei diritti e dei doveri. Lo abbiamo scritto oltre sei anni fa, in occasione della rivolta dei migranti di Rosarno. Era il 6 gennaio 2010. Lo abbiamo continuato a scrivere in questi anni. Perché Rosarno è ancora e sempre terra di sfruttamento e di economia illegale. E  questo accade anche nel Foggiano e a Castel Volturno e in tante  aree della Sicilia. Ma anche in zone del Piemonte e del Nordest. E non si dica che è sempre e solo colpa dei “caporali”. Certo, i caporali ci sono, e proprio per questo va approvata al più presto la norma che permetterà di colpirli in modo più duro e efficace. Il primo agosto ha avuto il via libera del Senato e ora è davvero necessario che la Camera la licenzi definitivamente e in fretta. Ma non basta. Non basta combattere lo sfruttamento con le norme penali, non si può delegare tutto alle forze dell’ordine e alla magistratura. I “caporali” vanno individuati e messi fuori gioco, ma ricordando che non sono un corpo estraneo a un tipo di sistema economico, che sono funzionali a un modo illegale di fare impresa che danneggia anche ogni altra buona impresa. È questo sistema che genera e sfrutta i fantasmi del pomodoro. Ai “caporali” restano briciole, qualche volta sostanziose. Agli imprenditori in nero ricche pagnotte. Ai lavoratori tasche vuote e sfruttamento. Accanto a loro solo i sindacati, i volontari delle associazioni, le Caritas. Latitano le istituzioni, soprattutto Regioni e Comuni, che ogni anno si fanno trovare impreparate a un fenomeno, quello del nomadismo dei lavoratori immigrati, che va avanti da almeno due decenni. “L’anno prossimo sarà diverso”, promettono ogni volta. E poi resta tutto uguale: ingiustizia, dramma, sfruttamento.Serve una scossa in tutti noi, l’«opinione pubblica», e soprattutto nel nostro bel mondo agricolo, dove tante realtà associative sono, giustamente, impegnate nella difesa del “made in Italy”, contro agromafie e contraffattori, ma appaiono meno attente alla difesa dei diritti dei lavoratori che il “made in Italy” raccolgono sotto il sole, per pochi euro e vivendo in baracche. Senza diritti resteranno sempre fantasmi. Fino alla “scoperta” del prossimo ghetto dimenticato. E tempo di avere occhi, e di usare voci e mani solidali e giuste.L'INCHIESTA:Ghetto in Puglia: rotto il muro del silenzioFango e pomodori: in Puglia l'inferno per 400 bambini
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