Attenti all'effetto Calimero (la realtà da considerare)
giovedì 22 settembre 2022

Può essere decisivo. E sta generando l’onda che, molto probabilmente, porterà su nelle urne del 25 settembre il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte (per i disattenti il dato meno atteso) e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (risultato largamente annunciato dell’unica opposizione di legislatura). Già, Calimero. I più anziani ricorderanno lo splendido Carosello del pulcino nero con in testa un mezzo guscio dell’uovo bianco da cui era uscito, che pigolava 'Ce l’hanno tutti con me', suscitando simpatia e identificazione nei telespettatori, soprattutto i bambini, prima di tuffarsi nel bucato del detersivo pubblicizzato, concludendo trionfante: 'Ava, come lava!'. Ecco a favore di Conte e Meloni, attaccati da tutti gli altri, in sostanza l’establishment politico e sociale, sta giocando l’effetto Calimero: 'Ce l’hanno tutti con me!'.

Facendo scattare in larga parte dell’elettorato – a destra e sinistra, per semplificare – un sentiment di identificazione, perché il messaggio incrocia il sentire profondo di milioni di italiani, della loro realtà esistenziale che si sente sotto attacco da tutto e da tutti, e cioè da condizioni di vita sempre più difficili che chi 'sta bene', a cominciare dai 'politici', non conosce e non riconosce. In Conte e Meloni il bisogno di protezione di quest’Italia trova uno specchio in cui almeno può sentirsi riflessa, cioè presa in considerazione. E i due leader stanno cavalcando con consapevolezza quest’«effetto Calimero».

Che è un effetto rispettabile e da rispettare, perché esprime un’Italia che c’è e che dovremmo tutti saper vedere meglio e forse, ancor più, 'sentire' e condividere come un nostro problema di comunità, un’Italia non lasciata a sé stessa da una società che performa solo se è 'competitiva', perché tutto il resto sarebbe solo 'assistenzialismo'… Meloni si è persino affidata dal palco alla folla che si rispecchiava in lei: «Io sono piccola, ho bisogno di voi», facendo scattare un’identificazione di bisogni tra il capo e il popolo. E pensare che il suo 'nero' sia il 'fascismo', e non le difficoltà cui si rivolge è una sciocchezza, neanche elettoralmente redditizia. E così per Conte, tra la folla che lo assedia al Sud soprattutto, quando rivendica e difende il Reddito di cittadinanza, ribadendo che «la povertà – e la sua solitudine – è brutta».

Quest’occhio largo che sa vedere il bisogno di protezione di tanti italiani, Conte e Meloni lo proiettano in Europa, attenti più di altri all’ansia della guerra e alle difficoltà che ne vengono, sia come catastrofiche paure per il futuro che nell’immediato quotidiano delle 'bollette' e della crisi energetica in cui siamo avviluppati. Anche se su questo punto Meloni, focalizzata su Palazzo Chigi, è più contradditoria, dovendo da un lato comunicare un atlantismo senza se e senza ma, e dall’altro un europeismo diverso, attento e quasi ossessionato da interessi nazionali: allo stato dell’arte una posizione piuttosto difficile, considerato che la somma degli interessi nazionali europei è piuttosto distonica con gli interessi geopolitici atlantici secondo la declinazione anglo-americana.

Qui è più lineare Conte, il cui insistere sulla necessità di una pace in Ucraina sostenibile per entrambe le parti si sostanzia di un europeismo più coeso e incisivo pur un dialogo atlantico, mai messo in discussione. E gli altri? Gli altri, purtroppo per loro e per l’Italia, anche al di là dei loro demeriti, sono largamente visti come 'brutti e neri', ma senza simpatia e senza empatia. Tranne quelle che emana il pur duretto Calenda da un 'centro' che torna luogo di un già visto e sentito 'fare', che possibilmente risolve i problemi. E non aiuta nessuno agitare l’«agenda Draghi», che, poi, è soprattutto un metodo, come capacità di decidere intestata al premier; ma appunto intestata a lui, che deve tornare in sella perché loro quella capacità non ce l’hanno (e non hanno saputo neanche tenere a Palazzo Chigi colui che ce l’ha.).

Di fatto, così si invoca ancora una volta una supplenza tecnica a un’insolvenza politica. E in sostanza, per parafrasare Kant, è una dichiarazione di 'minorità' della 'ragione politica'. Per degli 'illuministi' della politica, come non pochi dei timonieri dei partiti ritengono di essere, non è piccola contraddizione. E molto probabilmente proprio questo li consegnerà nelle urne, al netto del gioco delle coalizioni, a uno status sostanziale di 'minoranza' nel Paese.

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