martedì 29 settembre 2015
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Conoscere l’esatto svolgimento dei fatti prima di giudicarli: difficile non convenire con questa elementare regola, osservando la quale quantomeno ci si risparmiano brutte figure. Invece, davanti a confuse vicende di cronaca che indurrebbero a una seria verifica si assiste ormai a una scomposta corsa alla dichiarazione tonante, alla ferma esecrazione, all’inflessibile invito per agire con la massima severità. Soprattutto se balena la parola "gay". L’adolescente dell’istituto brianzolo finito ieri nel tritacarne mediatico per via di un sospetto infamante a carico della sua scuola, che aveva agito per proteggerlo in un frangente delicato, è una dimostrazione esemplare della fretta imprudente con la quale si affrontano fatti complessi da maneggiare con umanità, specie quando coinvolgono minorenni. Una situazione familiare e personale problematica che esigerebbe il massimo rispetto è diventata un oggetto improprio da scagliare nella mischia della polemica sulla presunta "omofobia cattolica" da punire quanto prima per legge. Sembrava un succulento caso mediatico, era solo un ragazzo “usato”.
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