giovedì 22 luglio 2010
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Caro direttore,sono la sorella di un’anziana di 76 anni «particolarmente sfortunata», come dice lei di se stessa. A.M. ha passato quasi tutta la sua vita ricoverata prima in manicomio, per una forte depressione dovuta ad una delusione amorosa, poi in diverse case-famiglia e infine in una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale), il Nomentana Hospital di Fonte Nuova (Roma). A. M. è una persona molto mite e sensibile, probabilmente per questo ha sofferto tutta la sua vita. Speravo che arrivata alla vecchiaia potesse godere di un po’ di tranquillità. Ma non è stato così.Io abito a Tivoli, sono anziana anch’io, sono sposata, mio marito è malato di Alzheimer e io lo assisto. Alla fine dell’anno scorso mia sorella è stata male. Trasportata d’urgenza all’Ospedale Sant’Andrea di Roma è stata operata di una semplice calcolosi. Trattenuta in ospedale più di 10 giorni, ha perso il posto in Rsa, dato che il limite massimo di conservazione dello stesso, imposto dalla regione Lazio, è di 10 giorni. Ho supplicato il Nomentana Hospital di riprenderla, l’unica possibilità che mi hanno offerto era un posto in un reparto di lungodegenza per 2 mesi. Passati questi 2 mesi mi hanno detto che o la portavo a casa mia o pagavo 1.500 euro al mese. Mia sorella ha la pensione sociale; io 1.000 euro al mese non li ho. A.M. ha sempre pagato regolarmente la retta nei 5 anni precedenti. Ho pregato la direzione del Nomentana Hospital di avere pazienza. Ho chiesto al Centro assistenza domiciliare (Cad) di Tivoli di inserirla nella lista delle Rsa di zona, mi hanno risposto che c’è una lista di attesa di 2 anni! La direzione del Nomentana Hospital non mi ha concesso neanche una settimana! L’hanno trasferita nella Rsa di terzo livello di Riofreddo, un paesino arroccato su una montagna, vicino a Carsoli. Ora A.M. si trova in una struttura dove non c’è neanche una persona con cui parlare; le altre ospiti sono tutte affette da demenza. Senza bar. Senza un telefono a disposizione degli ospiti, mentre prima ci sentivamo telefonicamente quasi tutti i giorni. Seduta tutto il giorno ad aspettare una mia improbabile visita. Io non ho la macchina: come faccio ad andare a Riofreddo?  Come è possibile deportare gli anziani fragili lontano da ogni contesto a loro familiare? Come posso avere ancora fiducia in istituzioni che dovrebbero aiutare le famiglie e invece le separano? Mai avrei creduto di trovarmi in una situazione del genere. Scrivo questa lettera perché non voglio che altre famiglie vivano quello che io sto vivendo da molti mesi. Spero che si possa fare qualcosa per evitare simili deportazioni..

Romana Brancaccia

La storia della quale ci rende partecipi, gentile signora, è una di quelle che riescono a far capire a tutti, ma proprio a tutti, che cosa succede quando le regole sono stupide e senz’anima, nemiche (e non al servizio) delle persone. Mi auguro che chi ha il potere di intervenire lo faccia, e lo faccia presto. Perché questo caso venga risolto e nessun altro abbia a prodursi per gli stessi incredibili motivi. Un ricovero in ospedale per essere operati non può certo diventare una "colpa" da sanzionare senza logica e senza umanità.
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