lunedì 18 maggio 2015
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La corruzione da devianza a «concezione» della vita. Un pessimo salto di qualità, se così si può dire, che il capo dello Stato Sergio Mattarella ha segnalato con preoccupazione qualche giorno fa a Torino, per contrasto rispetto alla bella realtà di generosità e condivisione che stava visitando: l’"Arsenale della pace" di Ernesto Olivero. Una «concezione rapinatoria», ha detto per la precisione il presidente della Repubblica, che si è ormai diffusa come gramigna nella politica, nell’economia, nella società. Inasprire le pene - come si accinge a fare il Parlamento nella settimana che comincia domani - sicuramente non è uno sbaglio, ma difficilmente sarà risolutivo. E non perché, come ha scritto una commissione del Consiglio superiore della magistratura in un parere che mercoledì dovrà passare l’esame del plenum, manca un intervento legislativo organico. Ma perché norme e sanzioni rischiano di non bastare. Innanzi tutto per una ragione banalmente pratica: per punire severamente un crimine bisogna prima scoprirlo e individuarne in tempi rapidi i responsabili. Altrimenti, la severità resta sulla carta, trasformandosi nella caricatura dell’impunità. È un po’ quello che accade per certi reati considerati a torto "minori" ma di grande impatto sociale, come i furti di veicoli e quelli in casa, per i quali di tanto in tanto si alza l’asticella della punizione senza che ciò comporti la minima scalfittura nelle statistiche delle condanne. Né si può pretendere, tornando ai reati di corruzione e affini, di supplire a tali difficoltà investigative espandendo in maniera abnorme i tempi di prescrizione, com’era nelle intenzioni di una parte della maggioranza di governo. La quale bene ha fatto a ridimensionare (per il momento solo al tavolo della trattativa con gli alleati) i fattori di calcolo, nell’ambito di quest’altra importante riforma in materia processuale.Mentre è plausibile congelare il decorso dei termini per un tempo limitato dopo i processi di primo e secondo grado, infatti, non è pensabile che un delitto contro la pubblica amministrazione punito nel massimo con 10 anni di reclusione si prescriva dopo 18 o 21 anni: la ragionevole durata del processo, che è un principio contenuto in Costituzione, è infatti un pilastro dello Stato di diritto tanto quanto la necessità di garantire la certezza della pena. Inoltre, non si può dare per scontato che il cittadino sotto inchiesta sia per ciò stesso colpevole e che sia quindi una forma di giustizia preventiva lasciarlo per vent’anni ad attendere la sentenza. La norma (costituzionale anche questa) è la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, non il suo contrario.Detto ciò, è evidente che per sperare di sconfiggere un fenomeno che «blocca il Paese e lo sviluppo» - parole del presidente dell’Autorità anti-corruzione Raffaele Cantone - serve un salto di qualità maggiore, ovviamente in positivo, rispetto a quello di cui si parlava. Una svolta culturale, innanzi tutto, che cominci in famiglia, a scuola, in parrocchia, nei circoli sportivi o con iniziative come la "Notte bianca della legalità" che si è svolta ieri al Tribunale di Roma: chi bara non è furbo e sveglio, è solo un disonesto e come tale va trattato.Ma per non passare da ingenui, oltre a preparare un futuro migliore occorre aggredire con energia il presente: vanno disboscate senza riguardi consorterie, burocrazie, concentrazioni di potere politico ed economico. Soprattutto a livello locale, dove spesso la «concezione rapinatoria» non si esaurisce nel penale. Come definire altrimenti certe normative sui rimborsi e sui vitalizi ai consiglieri regionali a cui, soltanto ora e solo in alcuni casi, si sta cercando di porre rimedio? Come lo spreco dei fondi destinati alla formazione professionale, la giungla di municipalizzate dai misteriosi bilanci, l’uso sfacciato dell’autonomia da parte di alcune Regioni a statuto speciale, l’ipertrofia diffusa di quelle a statuto ordinario?A fine mese si voterà per il rinnovo dei Consigli (e quindi delle giunte) di ben sette Regioni. È un grande banco di prova per la credibilità, già largamente compromessa, della politica: i partiti, tutti, dovranno dimostrare di sapere (e volere) tradurre in pratica sul territorio quanto predicano a livello nazionale.
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