domenica 21 novembre 2010
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Caro direttore,ho letto la lettera di Claudia Commisso di Verona, da lei pubblicata col titolo "Amare l’Italia. A diciannove anni". Ho rivisto in questa lettera molto del mio impeto di neo-diplomata, quando, ormai, otto anni fa mi sono iscritta a giurisprudenza più o meno con le stesse motivazioni di questa ragazza. Oggi, per me quel percorso continua: mi sono laureata, sono diventata (da poco) avvocato e continuo (dopo un tentativo dagli esiti ancora sconosciuti...) la mia preparazione per il concorso di magistratura. Gli ideali dell’inizio non si sono spenti, ma anzi, sono cresciuti, sono maturati con me e sono diventati più solidi e realistici. Rispondendo alla lettera di Claudia, lei l’ha invitata a «sperare forte», io ho scoperto nella mia vita che la speranza nasce solo quando si comincia a intravedere che «ci sono più cose in cielo e in terra che nella nostra [pur buonissima!] filosofia». Di fronte alla delusione dell’indifferenza altrui o delle «cose che tanto non cambiano mai» anche a me è sembrato sempre molto nobile continuare (per usare un’immagine di Claudia) a dare testate al muro o a immolarmi sull’altare dell’ideale e della patria, ma questa non è la risposta, perché non c’è niente che possa costruire la società in cui sei, se prima non costruisce te stessa. I desideri grandi e belli che ha Claudia sono l’inizio, non l’orizzonte; sono la linea di partenza di una grande avventura che è prima di tutto personale, nel senso, appunto, che non esiste separazione tra la scoperta di ciò che è vero e giusto per il mondo e quella di ciò che è vero e giusto per te. Solo questo rende solidi e reali i tuoi ideali, altrimenti il rischio è di restare (per quanto "carichi") sulla cresta di un’onda che prima o poi (a seconda di quanto rapidamente l’umanità, passando per le persone più vicine o addirittura per i tuoi stessi fallimenti, ti deluderà) si arenerà dolcemente nel tran tran di tutti i giorni. Il lavoro da fare è impegnativo e forse impossibile da soli, per questo, sono contenta di aver intravisto in Claudia una compagna di strada. La gente viva si incontra, anche sulle pagine di un giornale come Avvenire, e non smette mai di imparare! Se decidesse di pubblicare questa lettera, preferirei (per ragioni professionali) non firmare per esteso. La ringrazio e le porgo i più cordiali saluti.

Elisa D.

Non sempre gli impeti e i benedetti entusiasmi dei diciannove anni si fanno quieti, gentile amica. Ma accade spesso che siano la risacca delle nostre vite: il moto che ci tiene svegli e che accompagna l’accresciuta coscienza di sé che chiamiamo età adulta. Lei ha ragione a ricordarci che è essenziale tener caro, e il più possibile condividere, tutto questo. E probabilmente ha ancora più ragione a constatare che nessun amore, neanche quello per la propria patria, sarà pieno se non è vissuto con maturità. Eppure, cara Elisa, noi tutti dovremmo ricordare sempre che il primissimo passo conta esattamente come l’ultimo, e che i passi che stanno in mezzo valgono tanto quanto. Ma soprattutto dovremmo riconquistare una preziosissima capacità "bambina": quella di non farci scoraggiare dalle delusioni. Del resto chi – come Claudia e come lei, otto anni fa – ha saputo lucidamente e impazientemente amare l’Italia a diciannove anni, ha cominciato a sperimentare che un amore così chiede pazienza. Per questo ho cristianamente augurato a Claudia, e auguro di nuovo a lei, ciò che auguro e mi auguro per le mie figlie: sappiate "sperare forte". Specialmente in questo nostro bellissimo e complicato Paese, la pazienza ha bisogno della speranza (una speranza sensata e condivisa) per non farsi rassegnazione. (mt)
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