domenica 16 novembre 2008
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Hanno paura della realtà e dunque delle parole. Preferiscono avvolgere di melassa e caramello le cose e le parole pur di non affrontarle. Nei commenti di questi giorni alla vicenda Eluana fa impressione vedere come certe parole, e dunque certe realtà che le parole indicano, siano per così dire occultate, nascoste come fa il prestigiatore coi suoi trucchi. Per non essere disturbati. Tutti così educati, in questo caso, così caramellosi e burocratici. Avvenne già quando ci han voluto convincere che un embrione in un bidone congelato è cosa diversa da quello che la nostra donna porta in pancia. Quello nel bidone è vietato chiamarlo "figlio", come invece a tutti accade di fare quando dobbiamo indicare la presenza di quella "cosa" nella pancia di una persona cara. Parola scandalosa, figlio. Da non usare. E ora non si possono usare espressioni che turbano il burocratico iter di morte, che, naturalmente, si compie in nome dell’amore.  Così, impiastrati in un collante di buoni sentimenti, non importa più guardare e chiamare con il vero nome quello che può accadere coi timbri della legge e il plauso generale: la morte di una ragazza per disidratazione. Chi lo dice disturba i corifei del pensiero dominante. E chi disturba va fatto tacere o richiamato alle buone maniere. Come se fosse uno che dice spropositi. Ai poeti accade spesso, per questo forse ci faccio meno caso, e ne sorrido. Però... Permettete una piccola esemplificazione personale. Tre giorni fa su Repubblica Adriano Sofri, plaudendo come la maggior parte degli esponenti del pensiero dominante alla sentenza che permette la soppressione della vita di Eluana Englaro, terminava il suo articolo citandomi, senza nome ma con benevolenza. E però diceva di aver sentito «un brivido» quando nel mio editoriale su questo giornale impiegavo l’espressione «toglierla di torno» riferita al destino che si vuole riservare alla vita misteriosamente presente di Eluana. Il pensatore della Repubblica si chiedeva se m’era sfuggita e chiedeva di ritirarla. Ieri l’altro, ho inviato un pezzo a Repubblica in cui spiegavo perché quell’espressione non m’era sfuggita e non intendo ritirarla, lasciandola come scandalo, per me stesso e per tutti. Il quotidiano di Ezio Mauro ha pensato di dedicare alla mia breve replica al lungo pezzo di Sofri lo spazietto di una lettera alla redazione. Pur condividendo e capendo il dolore di Beppino Englaro, posso non condividere la sua scelta. Mi dà i brividi pensare alla scelta di morte che ha voluto e mi dà i brividi vedere che strano giubilo la nostra cultura e la nostra società stanno riservando alla soppressione della vita di una che non sta dando fastidio a nessuno, che avrebbe chi la intende assistere, e che non sappiamo nemmeno realmente ora cosa vuole. Ma l’ex direttore di Lotta Continua (un giornale che peraltro con le espressioni forti ha marciato parecchio) ora sente un brivido perché oso chiamare, con la violenza di chi soffre per quel che sta avvenendo, "togliere di torno" il destino riservato da padre, mass media, corte di Cassazione ecc ecc a una ragazza che né la medicina né chi la sta accudendo considerano morta. E in due righe nella rubrica delle lettere mi liquida dicendo che di tutto, ma non di quella frase è disposto a discutere. Invece, è proprio di quello che occorre avere il coraggio intellettuale e di cuore di discutere. Il rispetto fatto di moine è la peggiore delle offese. La pietà non si nutre di pietismo. In questa strana contesa non vince e non perde nessuno. I cristiani come me non hanno l’aspirazione di divenire pensiero dominante. Si sa che al primo referendum che lo vide opposto a Barabba, a Gesù non andò benissimo. Non ci sentiamo sconfitti, ma addolorati, è diverso. Per noi si tratta di testimoniare una cosa sentita e vissuta come vera: l’altro uomo ha un valore infinito. Anche quando non mi sembra. Il fare ricorso al sentimentalismo – a tratti con vere punte di patetismo – o a un tanto astratto e ambiguo valore assoluto dell’autodeterminazione, mostra l’impoverimento culturale e politico anche da parte di coloro che solo pochi anni fa, all’opposto, si appellavano al comunismo e ai valori condivisi. Come se non importasse più discutere se vale più la vita o la morte, ma quel che conta è scegliere. Ma è di per sé la scelta dell’individuo a conferire valore alla cosa o la libertà autentica sta nel riconoscere quel che meglio rispetta o serve la vita? Per autodeterminazione gli elettori tedeschi scelsero il nazismo e la soppressione delle razze deboli o minori. Ma a Repubblica hanno poca voglia di discutere.
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