domenica 25 gennaio 2009
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Caro Direttore, sembra proprio di essere tornati ai giorni incandescenti che hanno preceduto il referendum sulla Legge 40, ma se possibile, con una cattiveria ancora maggiore, con asprezze sempre più acide. Tutto concentrato su Eluana. Fino al paradosso grottesco del titolo del Manifesto di venerdì 23: « La fatwa contro Eluana » . Dove la fatwa non è messa da chi vuole far morire Eluana, ma chi le riconosce il diritto a vivere. Quello stesso giorno ho cercato di guardare cosa scrivevano altri due giornali sempre dall’' altra' parte, L’Unità e La Repubblica. Stupefacenti tutte e due: la prima con quel «Ferma il Medioevo» scavato sulla foto di un cappello cardinalizio, allusione alla presa di posizione dell’arcivescovo di Torino. All’interno un appello « Eluana è anche nostra figlia » , che si chiude con «Perché in Italia il diritto abbia la meglio sui ricatti, le intimidazioni, l’oscurantismo di chi non tiene conto della tragedia di una famiglia, simbolo di altre migliaia di persone che si trovano nella medesima situazione». Da ultimo Repubblica, con l’operazione più "sporca", perché a pagina 3 il titolo «"Aiutiamola a morire bene" la pietas dei medici torinesi» introduce un articolo che dà voce ai medici delle Molinette di Torino, dei quali solo uno su cinque si dichiara disponibile a sfilare il sondino, portando comunque esempi di malati terminali che non combaciano certo col profilo di Eluana. Anche i sommari evidenziati nella pagina contraddicono il titolo: «Se toccherà a me dirò alla famiglia che sarebbe meglio portarla a casa » e «Non sospenderei la nutrizione e l’intubazione ma eviterei le cure inutili». Così, per far morire Eluana, va bene tutto, anche le bugie più fragorose.

Gianluigi Varzi

La discussione e il confronto delle idee sono sempre benvenuti. Uniche condizioni: la buona fede e il rispetto reciproco degli interlocutori. È la loro manifesta assenza, negli esempi che lei cita, a costituire un problema serio, di entità certo inferiore a quello della vita di Eluana, ma non per questo trascurabile. Com’è possibile pensare di sedersi a un tavolo per ragionare sulle questioni di fine vita, quando uno degli interlocutori sparge valanghe di letame sull’altro? Quando mai in una nostra pagina ha campeggiato un messaggio insultante, paragonabile a quello della «prima» dell’Unità? Come confrontarsi con la perversione di ogni logica evidenziata dal titolo del Manifesto? Cosa bisogna fare per smontare l’idea quotidianamente instillata dalle foto abbinate ai servizi di Eluana, con inquadrature di reparti di terapia intensiva gremiti di apparecchiature ad alta tecnologia, mentre Eluana non è 'attaccata' a nulla; ha soltanto un sondino naso-gastrico che le consente addirittura di essere accompagnata quotidianamente a fare una passeggiata in carrozzina in giardino o lungo i corridoi della casa che la ospita? Cosa possiamo fare se la realtà descritta da articoli, come quello da lei citato di Repubblica, viene stravolta da un titolo che afferma l’esatto contrario? Non do mai patenti di malafede ad alcuno, anche se è dura non farlo. Una visione ideologica precostituita viene scaricata, come una colata di cemento, sui pareri di tutti i medici interpellati, per incanalare il punto di vista di lettori frettolosi verso l’unica prospettiva autorizzata: Eluana deve morire. E per finire quell’appello dell’Unità: dubito davvero che tutti i firmatari abbiano considerato attentamente il testo, tanto aberrante è il passaggio da lei evidenziato: dove è la folla di parenti di persone in stato vegetativo che avanza una richiesta analoga a quella di Beppino Englaro? La 'libertà' che lui pretende per la figlia, non trova emuli tra le famiglie dei 2.000 pazienti in condizioni analoghe a quelle di Eluana. Ma chi – oltre a noi – li va a cercare per verificare e farli parlare? Ancora una volta non posso non dire ai colleghi pur idealmente lontani: calma, raffreddiamo gli animi, proviamo a ragionare.

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