giovedì 11 marzo 2010
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Caro direttore,l’esclusione della lista del Pdl nella provincia di Roma, ovviamente pone moltissime questioni, a partire dall’atteggiamento arrogante che quella parte politica assume di fronte a troppe regole. Ma su questo aspetto è inutile dilungarsi per sovrabbondanza, diciamo così, «di letteratura». Sarebbe – vecchi ricordi di liceo – come «portare vasi a Samo»: cioè inutile perché, appunto, Samo nell’antichità era famosa per i suoi vasi. Tornando all’oggi, quale argomento migliore di campagna elettorale per il centrosinistra avrebbe potuto essere la litigiosa sciatteria di un centrodestra che non solo non sa comporre decorosamente i propri interessi in conflitto, ma non vuole neppure rispettare le regole? Ma è un argomento che il centrosinistra, e il Pd in particolare, non potrà più utilizzare. E questo non solo perché – parlo per la Regione Lazio – la campagna elettorale non ci sarà (sarebbe come correre da soli), ma perché, seppure per qualche nuovo e arzigogolato artificio legale, il Pdl sarà rimesso in corsa, il centrosinistra non potrà più vantare quella superiorità politica (etica è meglio lasciar perdere) che avrebbe avuto se non avesse brigato per l’esclusione degli avversari dalla partita elettorale. Delle due l’una, infatti, o si ricorre agli elettori, oppure agli avvocati (e questo vale pure per il centrodestra). Quando sabato giravano sms che invitavano a una manifestazione del Pd al Pantheon a sostegno, di fatto, dell’esclusione del Pdl dalla competizione elettorale, ricevendone più di uno, ho avuto la netta impressione di un imperdonabile errore. Se di un’ombra il Pd doveva liberarsi per mostrarsi rinnovato davanti al suo elettorato e al Paese, era di quella del «giustizialismo». Se, come Bersani sostenne al Congresso che lo ha eletto, l’intento del Pd è quello di rappresentare anche il buon senso comune degli italiani, questa volta ha proprio perso l’occasione. Era proprio questo, infatti, il momento nel quale il centrosinistra avrebbe potuto far valere davanti agli elettori (che sono gli unici veri giudici della politica, come Avvenire ha scritto più volte), quella superiorità «politica» di cui ha sempre menato vanto. Non ci voleva una cultura giuridica da specialisti per invocare quello che ormai nella giurisprudenza si ritrova quasi ad ogni passo, e cioè il concetto di notorietà. Non ci volevano certo Cicerone o Ulpiano, per capire che il Pdl era determinato a correre anche nella Provincia di Roma. E non ci voleva alcuna genialità politica (anzi c’era tutto da guadagnare) a sostenere che le elezioni hanno regole e regole. Un conto sono quelle relative al conteggio dei voti, quelle vere; un altro conto sono le formalità dell’ammissione dei simboli. E certo un partito importante come il Pd, non doveva dare l’immagine di chi, lontano dall’idea della rappresentanza democratica, gioca la sua partita su minuzie regolamentari, come se si trattasse dell’ammissione a un concorso pubblico dove vale le perentorietà dei termini di scadenza per la presentazione delle domande. Ma la scelta è stata un’altra: tentare di correre da soli. Brutta idea della democrazia e, dunque, pessima immagine del «partito nuovo».

Pio Cerocchi

Le tue parole, caro Pio, esprimono la riflessione amara e appassionata di un uomo che coltiva un’idea della politica alta e al tempo stesso efficace. E sono la testimonianza di un cittadino che sa che cosa significa fare una concreta scelta politica (sei stato un iscritto-fondatore del Pd) senza rinunciare alla sana e autonoma capacità di giudizio dell’intellettuale e giornalista di vaglia. Grazie per avercene messo a parte: la trovo utile e originale. Avrei preferito che fosse solo «utile», perché il fatto che suoni anche «originale» sottolinea che la difficoltà attuale della politica è davvero grande. Del resto, la deriva è sotto gli occhi di tutti. Siamo chiamati a una tornata amministrativa segnata da prove elettorali in ben 13 Regioni. Dovremmo, perciò, parlare e scrivere di questioni di governo locale che pur in questa fase di federalismo imperfetto (e semi-caotico) sono di assoluto rilievo perché riguardano la vita concreta di milioni e milioni di cittadini e, invece, vediamo e raccontiamo il dibattere furente (e caotico) su tutt’altro, nonché il moltiplicarsi di inquietanti pressioni sulle più alte istituzioni (a cominciare dal Quirinale). Come se non bastasse, assistiamo nelle aule parlamentari, a preoccupanti prove di forza tra maggioranza di centrodestra e forze di centrosinistra alle quali solo l’Udc, tornata a rivendicare la sua terzietà rispetto a un bipolarismo malato, mostra di volersi negare. E siamo già stati avvertiti che quelle prove di forza si trasferiranno presto in piazza.Il disorientamento cresce, così, di pari passo con il fastidio per quest’ennesimo impazzimento del dibattito politico. E la somma di disorientamento e fastidio finisce, si sa, per produrre distacco e rifiuto. Sentimenti pericolosi alla vigilia di un voto. Ci pensino i leader politici. Tornando, se vogliono, con la memoria al pressante appello a «svelenire il clima» e a un «disarmo» ragionato e ragionevole che sin dallo scorso novembre il cardinal Bagnasco lanciò, nel nome del bene comune, all’assemblea dei vescovi italiani ad Assisi. Anche se la corsa alla polemica totale e allo scontro frontale sembra irrefrenabile, un cambio di passo e di direzione è ancora possibile. Chi lo avvierà per primo avrà due volte ragione.
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