sabato 1 febbraio 2014
​Rinegoziare gli accordi protezionistici: ma come? L'Europa non vuole più dazi.
di Giulio Albanese
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Da oltre un decennio si stanno evidenziando forti tensioni tra Europa e Africa sulle regole dei rapporti commerciali tra i due continenti. L’oggetto del contenzioso è rappresentato dagli Epa (Economic Partnership Agreements; in italiano Accordi di Partenariato Economico). Un’iniziativa che vede coinvolta l’Unione Europea (Ue) con 77 Paesi in via di sviluppo, riuniti nel cartello Acp (Africa, Caraibi e Pacifico), molti dei quali ex colonie del Vecchio Continente. Il 21 marzo dello scorso anno, il Comitato per il Commercio Internazionale del Parlamento europeo ha fissato la data del 1 ° ottobre 2014 come termine ultimo per il completamento delle trattative. Ciò riflette l’esito del processo di dialogo trilaterale tra la Commissione, il Consiglio europeo e il Parlamento, un processo istituito per raggiungere il consenso sulla data limite per finalizzare i negoziati Epa. Iscritti nell’articolo 37 dell’Accordo di Cotonou del 2000, gli Epa sono accordi di libero scambio delle merci con l’obiettivo di promuovere l’integrazione degli Stati Acp nell’economia mondiale, nel rispetto delle loro scelte politiche e delle loro priorità di sviluppo, contribuendo all’eradicazione della povertà e incoraggiando così quello che in gergo tecnico si chiama sviluppo sostenibile. Così descritti, gli Epa potrebbero sembrare davvero il toccasana ai problemi del Sud del mondo, ma non è oro tutto quello che luccica. Per comprendere la complessità di questa materia, occorre tornare indietro nel tempo, e precisamente al 28 febbraio del 1975, quando gli allora 9 Paesi membri della Comunità Europea (Cee) e 46 Stati Acp siglarono a Lomé, in Togo, una Convenzione che segnò, almeno idealmente, una svolta epocale nei rapporti tra Nord e Sud del mondo. In sostanza, i prodotti dei Paesi Acp, prevalentemente materie prime, potevano essere esportati nell’ambito Cee senza essere sottoposti ad alcuna forma di tassazione in entrata; questa regola non valeva invece per i prodotti europei esportati nei Paesi Acp, che dovevano al contrario sottostare a un regime fiscale di tipo protezionistico.  L’intesa di Lomé, è bene rammentarlo, avvenne proprio quando l’attenzione della comunità internazionale era concentrata sulla creazione di un nuovo ordine economico mondiale che avrebbe consentito ai Paesi poveri di debellare la piaga del sottosviluppo. Oltre alla regolamentazione degli scambi tra Cee e Paesi Acp, attraverso un regime di libero accesso in Europa con il sistema delle preferenze commerciali "non reciproche", la Convenzione riguardava anche aspetti legati alla cooperazione agricola e allo sviluppo rurale, dell’industria e dei servizi fino alla cooperazione culturale, sociale e regionale. Sarebbe comunque più corretto parlare di Convenzioni di Lomé al plurale, perché la prima Convenzione è stata poi più volte rinnovata: Lomé II (1980), Lomé III (1985), Lomé IV (1990), Revisione di Mauritius (1995). Verso la fine degli anni 90, la filosofia di Lomé venne messa profondamente in discussione da alcuni economisti fautori del liberismo. Essi sostenevano che gli scambi economici privilegiati fossero in realtà una trappola, perché mantenevano i Paesi Acp in una condizione di dipendenza. Questo approccio prevalse soprattutto nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), nell’ambito della quale alcuni protocolli agricoli della Convenzione vennero dichiarati incompatibili con l’ordinamento internazionale vigente. Ecco che allora nel 2000 si pervenne all’Accordo di Cotonou, il quale gettò le basi per una rinegoziazione dei rapporti commerciali tra Ue e Acp. Le conseguenti trattative sono cominciate nel 2002 e si sarebbero dovute concludere nel giro di cinque anni con la firma degli Epa; cosa che non è ancora avvenuta, sebbene siano passati quasi 12 anni; la data del prossimo 1 ottobre sembra essere dunque quella definitiva.  La "vexata et tormentata quaestio" è rappresentata dal fatto che l’Europa chiede ai Paesi Acp di eliminare tutte le barriere in entrata su merci, prodotti agricoli e servizi provenienti dalla Ue, mettendo fine alla non reciprocità garantita dalla Convenzione di Lomé. Libero scambio, quindi, su tutti i fronti, come richiesto dalle norme del Wto, con l’idea che la riduzione delle barriere commerciali incentiverà la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo e contribuirà allo sradicamento della povertà. Come era prevedibile, soprattutto i Paesi africani, hanno contestato fortemente questo indirizzo. La motivazione è rintracciabile nella convinzione che gli Epa, con il ribasso progressivo delle tariffe doganali all’importazione dei prodotti europei, possano provocare un danno irreversibile alle già precarie economie nazionali africane. Gli europei, da parte loro, hanno l’urgenza di concludere gli Epa in tempi rapidi vista l’importanza strategica del negoziato, soprattutto per i rincari di alcune materie prime. I prezzi di queste ultime lievitano a causa della corsa da parte soprattutto di Cina, India e Brasile ad accaparrarsi le risorse energetiche del continente africano. Se da una parte è vero che l’Unione Europea si attesta al primo posto nelle sovvenzioni economiche all’Africa – circa il 52% dell’ammontare ufficiale degli aiuti allo sviluppo per il continente –, dall’altra i governi africani continuano a sottolineare con le autorità di Bruxelles che i proventi dei dazi doganali costituiscono una grande parte del proprio Prodotto interno lordo e che la loro eliminazione causerebbe enormi perdite economiche. Soprattutto è difficile pensare che i prodotti africani, in particolare quelli finiti, possano competere internazionalmente con le merci provenienti dalla Ue o da altri Paesi industrializzati. Insomma, mentre i vantaggi per l’Europa sono evidenti, in termini ad esempio di "privatizzazioni", se l’Africa dovesse accettare gli Epa si troverebbe costretta a competere commercialmente contro i giganti dell’economia mondiale, senza avere forze e strumenti per misurarsi con gli avversari. In questo clima di forte tensione, il Coordinamento per i Negoziati Epa, promosso dall’Unione Africana, ha invitato a soprassedere, non firmando gli accordi Epa, in attesa del vertice Africa-Ue, in programma il prossimo aprile (ad oggi, solo i Paesi caraibici hanno firmato i cosiddetti "Epa completi", mentre sono 21 quelli che, per così dire, si sono sottomessi agli "Epa provvisori"). Nessuno può ragionevolmente prevedere che cosa accadrà, ma la visione del grande statista senegalese Léopold Sédar Senghor, quella dell’incontro solidale tra Europa e Africa, all’appuntamento del «dare e del ricevere», sembra essere ancora un miraggio.
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