mercoledì 17 luglio 2013
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Collegandosi alle analisi che hanno accompagnato il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa, Piero Ostellino sul Corriere della Sera, ha contestato la lettura 'buonista' che alcuni critici hanno voluto farne in opposizione al realismo della governance che non può piegarsi ai principi etici, e rileva che nell’intervento pontificio c’è più realismo di quanto si creda. Aggiunge, però, che un certo fraintendimento è possibile, perché il Papa parla «della globalizzazione come di un silenziatore delle coscienze», e promuove un sistematico elogio della povertà che radicalizza il conflitto tra società dei consumi e mondo dei diseredati. Sintetizzando, vede un contrasto tra il 'papa francescano' pauperista, e il 'papa gesuita' realista. L’intervento di Ostellino, discutibile per certi versi, ma complesso e rispettoso, suggerisce di guardare ai contenuti del magistero di Francesco, seguendo i sentieri che abbiamo a disposizione: la catechesi, che egli ha proposto dall’inizio della sua elezione, che tocca temi vicinissimi alla vita delle persone; e l’enciclica Lumen fidei, che affronta una questione centrale del cristianesimo, il rapporto della fede con la storia, le sue conquiste e i prezzi che si pagano, i suoi progressi e le sue tragedie.L’enciclica e la catechesi si pongono proprio a quel livello di illuminazione delle coscienze che Ostellino un po’ trascura, e propongono un modo nuovo di vivere, cercare la verità, praticare la giustizia, che deve distinguere i cristiani, nella società globalizzata e secolarizzata, rispetto all’accettazione passiva e rassegnata della vita e delle sofferenze umane. Quando il Papa, con immagine già entrata nel linguaggio comune, invita i cristiani ad 'andare nelle periferie', senza quietarsi negli ambienti consueti, e i giovani a non accontentarsi di obiettivi modesti, ma farsi guidare da grandi ideali, quando afferma che la fede interessa anche chi non crede ma è alla ricerca del bene, avvertiamo che questi messaggi poggiano su un comune denominatore: la fede in Dio non è uno strumento consolatorio, una comodità che sopisce la coscienza, ma la spinta per un impegno forte, ambizioso, a favore degli altri. Il rapporto della fede con la storia si trasfigura, evita la dispersione attorno a verità parziali, ed effimere, avvicina alla verità d’insieme che sorregge e struttura la persona. Quello di Papa Francesco è un messaggio di gioia e incoraggiamento, contro le passività di una società debole, un invito a vedere nella fede un bene prezioso che dà capacità di azione, quasi un antidoto a quella 'società liquida' in cui tutto scorre senza che nulla abbia veramente importanza. Si potrebbe dire, una lezione di spiritualità e di realismo. Nell’enciclica Lumen fidei si ritrova una pietra miliare dell’identità della Chiesa, quando il Papa ricorda che la fede non serve solo «a costruire una città eterna dell’aldilà, ci aiuta a edificare le nostre società», «non allontana dal mondo», non dimentica le ingiustizie. Sta qui il significato più autentico del viaggio a Lampedusa che ha dato voce universale a persone morte nell’oscurità, subito dimenticate. Forse alcuni commentatori hanno equivocato seriamente sul ruolo del successore di Pietro, interpretando l’appello al mondo di Papa Francesco come un intervento disincarnato dalle difficoltà di chi governa. Hanno dimenticato che proprio i governanti hanno bisogno di una luce per decidere, di una bussola che orienti, altrimenti si resta piegati dalle difficoltà, non si sa come superarle. La storia della Chiesa è ricca di interventi di pontefici e vescovi, che hanno contestato, protestato, per crimini compiuti contro popolazioni inermi, senza colpe, salvato città e popoli da eccidi progettati. In quei momenti la Chiesa, spesso i papi, hanno guidato, cambiato, il corso della storia, opponendo la giustizia alla sopraffazione, le ragioni del diritto a quelle della violenza.Ambrogio interpella Teodosio e gli chiede di pentirsi per la strage di Tessalonica, mentre Papa Leone magno e altri pontefici si prodigano per fermare le devastazioni barbariche a difesa di Roma e delle terre italiche. I papi operano per salvare le comunità ebraiche da terribili vessazioni e spedizioni punitive, e Alessandro II scrive ai vescovi della Francia del Sud per lodare la protezione che assicurano agli ebrei contro ricorrenti rischi di pogrom. Paolo II con la Bolla Sublimis Deus del giugno 1537 condanna le violenze dei colonizzatori sugli indigeni delle nuove terre, ne difende i diritti, chiede che siano lasciati loro libertà e possesso dei beni.I pontefici della modernità hanno predicato e gridato contro i totalitarismi, gli orrori delle guerre, la Chiesa ha alleviato in ogni modo i patimenti delle popolazioni. In alcuni momenti sembrava si trattasse di prediche inutili. Ma da quelle parole è venuta la spinta per dare una svolta a epoche di degrado, alzare la barriera dei diritti umani contro i dittatori, costruire la pace invece che armamenti e progetti di nuove guerre. Il mondo globalizzato ha come mischiato le carte della storia, e sta oggi mischiando e amalgamando le popolazioni della terra. In questo orizzonte concreto, non astratto, il successore di Pietro fa sentire la propria voce e la misura sulle grandi scelte da compiere, sul realismo e sul coraggio necessari per rispettare i diritti di persone che non hanno più nulla e cercano uno spazio per una vita umana. È questa, e non altra, la funzione della Chiesa: a difesa degli ultimi e a sostegno delle coscienze.
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