Addio Conte, ritorno a Rousseau. E il Movimento vede le Stelle
mercoledì 30 giugno 2021

Pensavamo fosse una rivoluzione... invece era una lite tra due leader extraparlamentari dalla personalità (o dall’ego) extralarge. È questo il senso della rottura fra Beppe Grillo, il capo che ancora oggi non può candidarsi, e Giuseppe Conte, il capo che da oggi non si candiderà (almeno con il M5s). Il passaggio che doveva portare a un Movimento sempre più 'responsabile' resterà così una delle pagine più confuse e brutte della storia dei 5stelle: la cronaca di un fallimento. Questo sono i 4 lunghi mesi di virtuale leadership contiana passati, invano, lasciando in bella vista lacerazioni profonde. E un 'cerotto' clamorosamente sgargiante: il ritorno con un colpo di teatro alla piattaforma Rousseau e a Davide Casaleggio per eleggere quel «Comitato direttivo a 5» che gli iscritti avevano chiesto, votando, mesi fa. Il tutto dimostra una incapacità di gestire le dinamiche interne che mal si addice a quella che resta la forza di maggioranza relativa in Parlamento e in ogni caso una fondamentale forza di governo che dovrebbe affrontare con lucidità e chiarezza i problemi del Paese.

Grillo e Conte appaiono due personaggi accomunati dal medesimo difetto: pensare di gestire i 5stelle da padre-padrone. Da una parte, il comico, strepitoso e visionario, demiurgo dal nulla del primo partito italiano, capace al contempo di gridare «vaffa» ai poteri forti e di definire Giuseppe Conte stesso «il miglior premier possibile» (salvo poi demolirlo, ieri, con parole durissime) e di qualificare Mario Draghi «un grillino». Dall’altra parte, l’ex «avvocato del popolo», lo sconosciuto divenuto presidente del Consiglio (ruolo svolto peraltro dimostrando doti politiche e umane di rilievo) senza nemmeno essersi mai iscritto al M5s, capace prima di «rivendicare il populismo» assieme alla Lega e, poi, di combatterlo a fianco del Pd. Due uomini, insomma, dalle personalità complesse (per non dire capaci di tutto e del contrario di tutto).

Prendiamo Grillo: impulsivo e non sempre razionale, è stato lui a dare all’ex premier il mandato di 'rifondare' i 5stelle, scegliendo per un Movimento nato anti-sistema un leader simbolo 'moderato' (e decisionista solo per poche settimane, all’inizio della crisi pandemica). Conferire un incarico simile senza avere piena fiducia e un costante dialogo con l’incaricato non ha senso. Conte, dal canto suo, si è illuso di poter costruire un grillismo senza Grillo, ha pensato di confinare il fondatore in un ruolo di garanzia con poteri ridotti, privandolo per di più di quello 'scudo legale' dalle denunce che lo studio Casaleggio gli garantiva (è una delle cause della lite). O meglio, a esser brutali: ha pensato di poter usare come 'veicolo' un Movimento costruito da altri. Questo mediatore senza un profilo identitario pronunciato, potrebbe infatti guidare il M5s o un’alleanza con il Pd o – perché no? – rivelarsi un ottimo candidato del centrodestra in qualche elezione amministrativa di prestigio. Non per niente nella conferenza stampa dell’altroieri ha parlato soprattutto di statuti e di norme, non di idee e valori da portare avanti. Indicativa è, al riguardo, una frase attribuita a Grillo in questi ultimi giorni: «A traversare a nuoto lo stretto di Messina sono stato io, non lui...».

Alla base dello strappo c’è poi anche uno storico limite del gruppo dirigente pentastellato: non aver saputo concepire e attuare una revisione della struttura del Movimento, nato come forza di democrazia diretta, ma di fatto nelle decisioni 'che contano' dipendente dalle scelte di un uomo solo, il fondatore appunto. Non è mai stata costruita una 'camera di compensazione' fra l’aspirazione (alla democrazia diretta) e la realtà. Se ci fosse già stata, il lavoro di Conte sarebbe stato più agevole.

Ora si apre una crisi serissima e non solo interna, anche per gli effetti che può avere sulla stabilità del governo Draghi e, in prospettiva, sulla corsa per il Quirinale. E il punto non è domandarsi se può esistere un M5s senza Conte (che, senza le Stelle, con difficoltà potrà costruirsi un futuro immediato), ma – appunto – se possono esserci grillini senza Grillo: qualche segnale di ribellione ieri c’è stato (e già appare clamoroso), ma per ora sembra di no. Il M5s resta ancora 'quella cosa lì', un impasto unico di ambientalismo e populismo, di desacralizzazione delle istituzioni e di giusta lotta ai costi della politica (salvo poi cascare anche loro, i grillini, nei rimborsi gonfiati e nelle restituzioni negate) e di limite dei due mandati. Rifondare il Movimento è possibile e forse doveroso (la storia di quasi tutti gli altri partiti è piena di simili evoluzioni), rinnegare in blocco le origini no. Ma immaginare oggi il futuro di un Movimento che ha messo il 2050 nel simbolo sarebbe temerario. Eppure c’è un patrimonio di voglia di politica nuova e solidale che tanti elettori hanno affidato ai 'gialli' e che non meriterebbe di dissolversi nell’afa di un’estate rovente.

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