martedì 7 agosto 2012
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​Caro direttore,
sono una volontaria dell’Ail (Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma) di Taranto e voglio raccontare la storia di un ex-lavoratore dell’Ilva sperando di riuscire a spostare per una volta l’attenzione, rispetto alla vicenda Ilva, dall’aspetto economico a quello umano. Racconto la storia di F. che ha risposto al dilemma irresponsabile, odioso, immorale della scelta tra salute e lavoro: ha perso la salute a causa del suo lavoro e il lavoro a causa della malattia. Ho conosciuto F. in un incontro di mutuo aiuto tra persone affette da patologie ematologiche con la nostra psico-oncologa. È un uomo giovane che non esita a raccontare la sua vita intrisa di dolore: «Non ho avuto un’infanzia facile e felice – dice F. – ma poi tutto è cambiato: ho trovato un lavoro da operaio in Ilva, mi sono sposato, ho avuto 5 figli». Racconta col pudore e la forza degli umili e non riesce a nascondere il suo immenso dolore. «Poi – continua – nella mia famiglia è scoppiata una bomba: mi sono ammalato di linfoma. Cominciano cure lunghe, dolorose, con lo spettro della morte in agguato». Passano lunghi, interminabili mesi di ricoveri, terapie, trapianto. Durante la lunga degenza il silenzio ha preso il posto del chiasso giocoso della sua famiglia. E nel silenzio F. pensa alla sua vita, al suo lavoro… un lavoro duro, "sporco", ma pur sempre il suo lavoro. E ce la mette tutta per superare la malattia, per riappropriarsi della normalità della vita, per tornare alla sua famiglia e al suo lavoro. E ce la fa. Viene dimesso, torna a casa ma il lavoro non c’è più: lo hanno licenziato per «prolungata assenza» (9 mesi) nell’indifferenza e nel silenzio di tutti. Il sindacato è troppo impegnato a tutelare in teoria il lavoro in Ilva per percepire che quel lavoro «sporco» non è una cosa astratta, ma è svolto da uomini, persone che spesso, troppo spesso si ammalano, muoiono o, se ce la fanno, vengono licenziati per «prolungata assenza». Questa è la storia di F. che purtroppo è di nuovo alle prese con la malattia. Una storia che non fa notizia, ma a cui i soloni della politica e del sindacato devono porre attenzione. Merita una risposta F., la merita la sua famiglia e forse in questa risposta troveremmo la soluzione del dilemma "salute o lavoro". Il lavoro non si perde se si pretende rispetto per la salute, ma se ci si ammala! Voglio chiudere, caro direttore, questa storia con la riflessione di F. in uno dei nostri incontri: «Non mi importa se mi hanno licenziato. Non tornerei più a lavorare in quell’inferno. Dio aiuterà me e la mia famiglia a superare la malattia e troverò un altro lavoro». Te lo auguro con tutto il cuore, F.!.
Paola D'Andria, Taranto
 
Aggiungo i miei auguri a F. assieme a quelli dei miei colleghi, cara dottoressa D’Andria. E li trasformo in un appello esplicito. So che a Taranto, in questo momento, ci sono molte persone in difficoltà, ma F. merita quello sguardo speciale e quella considerazione che sin qui, da chi di dovere, gli sono stati negati.
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