giovedì 26 febbraio 2015
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​Una tredicenne viene portata in un garage e ripetutamente coinvolta in attività sessuali da parte di altri coetanei che, nel frattempo, la riprendono. Poi la ricattano, proprio utilizzando quelle immagini che documentano l’abuso di cui lei è vittima. Immagini che possono essere diffuse, se lei non fa tutto quello che le viene chiesto. E così la vittimizzazione dura per settimane e mesi. Fino a quando lei non ce la fa più. Gli eventi di Torino che hanno avuto giovanissimi adolescenti come protagonisti sono davvero sconvolgenti. Ci colpisce che la sessualità sia usata in modo violento, quasi bestiale, senza più alcun freno inibitorio, da ragazzini che, alla loro età, dovrebbero avere appena  cominciato a immaginarla e a sognarla. E che invece la stanno già agendo nel più perverso e criminale dei modi. Usare una ragazza come si usa una cosa, per prendere dal suo corpo briciole di piacere ricorrendo alla forza e al ricatto, senza alcuna preoccupazione rispetto alle implicazione relazionali, emotive – e anche penali – che questo comporta è terribile e la bestiale superficialità con cui tutto questo si è verificato è probabilmente frutto dei nostri tempi. Tempi in cui a chi cresce si racconta che "fare sesso" è meglio che "fare l’amore". Tempi in cui la pornografia ha contaminato ogni spazio del nostro vivere e propone un solo stereotipo di genere amplificato all’infinito: quello dell’uomo che non pensa ad altro e della donna che ci sta, senza condizioni. Forse è proprio questo il modello di sessualità che i giovanissimi torinesi hanno attuato sulla sventurata coetanea: non hanno fatto altro che riprodurre su di lei ciò che per molte volte hanno visto fare nei filmati pornografici che troppi ragazzi consumano sempre più precocemente e sempre più intensamente nella solitudine della loro stanza, condividendoli, magari attraverso WhatsApp, in una pornografica babele dove nessun adulto mette regoli e confini e si offre disponibile a educare, ad accompagnare e a dare significati. Perché senza significati, la sessualità rimane sesso, dominato dall’eccitazione pulsionale e svuotato di ogni valore relazionale ed emotivo. Stiamo crescendo figli che usano le nuove tecnologie per eccitarsi, per spiare in modo compulsivo sesso pornografico.Figli ai quali nessuno offre un’idea affettiva e complessa, ricca e integrata della sessualità. Così loro rimangono eccitati e confusi, disorientati e soli. Nella storia di Torino, personalmente, mi ha anche colpito il fatto che tutti sapessero, nel gruppo dei pari, tranne gli adulti. Loro erano tenuti all’oscuro di tutto. Nessuno ha chiesto aiuto, nessuno ha denunciato, nessuno ha pensato di parlarne con un adulto significativo: un genitore, un prete, un allenatore, un insegnante. Perché li lasciamo così soli? Perché i nostri figli e studenti non ci vedono come riferimento quando in gioco c’è il loro sviluppo affettivo e sessuale, oppure quando nel loro gruppo di coetanei succede qualcosa di "sessuale" che rischia di essere pericoloso e lesivo? Il silenzio intorno alla sessualità che ha connotato le generazioni passate oggi non è più sostenibile. In un mondo così pornizzato, così ipereccitante, dove il mercato vende il sesso come se fosse un prodotto, gli adulti devono riappropriarsi di un ruolo educativo e presidiare in modo intelligente e consapevole il percorso di crescita dei giovanissimi. Che altrimenti restano soli, confusi ed eccitati. A volte addirittura violenti. Proprio come i ragazzi di Torino.
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